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Salvare o non salvare Roma dal suo debito astronomico? Un dilemma che agita il governo in vista del Consiglio dei ministri che alla fine, dopo un lungo tira e molla e salvo sorprese darà il definitivo via libera al decreto crescita. Il problema non è da poco visto che si tratta di gestire una massa da 12 miliardi di euro: la somma cioè dei debiti contratti dal Comune di Roma, fino al 2008, anno in cui fu eletto sindaco della Capitale Gianni Alemanno. Facendo la tara e togliendo di mezzo per un attimo lo scontro politico, la partita su cui si gioca un pezzo di futuro di Roma (ma anche delle altre metropoli italiane, anch’esse fortemente indebitate) è molto delicata. Ecco perché.

12 MILIARDI DI DEBITO

Ad oggi il debito di Roma accumulato fino al 2008 è collocato in un’apposita struttura commissariale, una sorta di bad company, che tiene scorporata l’esposizione pregressa dai bilanci di Roma Capitale. Dunque ci sono un debito per così dire vecchio, e uno nuovo che invece viene regolarmente iscritto a bilancio. Il debito storico in carico alla gestione commissariale è in particolare costituito da 1.469 mutui concessi al Campidoglio per lo più nei primi anni Duemila. Di questi, circa 1.350 sono stati accesi con la Cassa Depositi e Prestiti mentre il resto è riconducibile a un pool di banche tra cui Intesa San Paolo e Unicredit (quest’ultima peraltro gestisce attualmente la Tesoreria comunale, ovvero tutte le entrate e le uscite del Campidoglio). Dalla struttura dell’esposizione ante-2008 emerge poi come l’83% per cento del debito in questione è costituito da mutui a tasso fisso e il 17% a tasso variabile, con un costo medio del debito pari al 4,2%.

500 MILIONI ALL’ANNO

Naturalmente una struttura commissariale chiamata a gestire un simile stock di debito deve essere alimentata al fine di smaltire il passivo. Le entrate che il Campidoglio gira sul vecchio debito sono essenzialmente due, per un ammontare di 500 milioni all’anno. Circa 300 milioni vengono annualmente trasferiti dallo Stato centrale mentre i restanti 200 vengono versati da Roma Capitale che li ricava attraverso una maggiorazione di 0,4% dell’addizionale comunale sull’Irpef e dai ricavi di una sovrattassa applicata ai turisti in partenza dagli aeroporti romani (Fiumicino e Ciampino). Per questo l’Irpef nel Lazio è tra le più alte d’Italia, con quella tassa il Campidoglio finanzia una parte di vecchio debito.

IL NODO OBBLIGAZIONI

Non è finita. C’è un’altra voce importante nella complessa struttura del debito capitolino maturato prima del 2008. Si tratta dei Buoni obbligazionari comunali (Boc), emessi a partire dal 2003 (giunta Veltroni) con l’obiettivo di raccogliere dal mercato la liquidità necessaria, laddove non arrivassero le banche o la Cdp. L’emissione, il cui ammontare si aggira sugli 1,4 miliardi di euro reca scadenza 27 gennaio 2048, data entro la quale dovrà essere restituito l’intero capitale. Dov’è il problema? I bond hanno un tasso di interesse fisso al 5,345%, che a suo tempo era compatibile con i tassi di mercato, ma che oggi appare troppo oneroso, causando una spesa per interessi di circa 75 milioni di euro l’anno.

LA MOSSA DEL GOVERNO

Alla luce di tutto questo il governo ha predisposto la contestata norma (che la Lega, contrariamente al Movimento Cinque Stelle, vorrebbe estendere a tutte le città indebitate) con cui chiudere nel 2021 la struttura commissariale ad oggi dipendente da Palazzo Chigi. La ratio della norma sta nell’individuare una strategia finanziaria il cui primo scopo è la messa in sicurezza del piano di rientro fino al 2048, quando cioè scadranno le obbligazioni emessa dal Comune. Il governo teme che nel giro di qualche anno, complice la crisi dell’economia reale (cioè di chi paga l’Irpef), i commissari non riescano più a fronteggiare il debito, con ripercussioni importanti sui bilanci capitolini. Il meccanismo studiato dal governo nel concreto prevederebbe un accollo da parte dello Stato di una parte dei debiti finanziari, che in cambio otterrebbe una riduzione del contributo annuale versato a Roma. Nei prossimi tre anni, entro il 2021, verrebbe poi fissato in via definitiva il debito residuo per poi procedere alla chiusura della gestione commissariale. Collateralmente il Campidoglio dovrebbe rinegoziare i prestiti, dando vita a una vera e propria ristrutturazione del debito, che darebbe vita a dei risparmi.

IL RUOLO DI CDP

Tirando le somme, per il Tesoro (Cdp è controllata di Via XX Settembre) dovrebbe essere un’operazione in grado di permettere al commissario che gestisce il debito di avere la liquidità sufficiente per arrivare alla chiusura del veicolo. Naturalmente la rinegoziazione dovrebbe incontrare il benestare della Cdp, titolare dei mutui. Non ci dovrebbero essere problemi, anche perché secondo fonti tecniche per introdurre una misura del genere non sarebbe necessaria una norma di legge ma basterebbe una semplice delibera del consiglio dei amministrazione della Cassa.

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