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La sera dell’incendio di Notre Dame Emmanuel Macron avrebbe dovuto annunciare il piano di riforme che intende attuare alla fine delle varie consultazioni che ha tenuto negli ultimi mesi nel tentativo di recuperare il rapporto con la cittadinanza entrato in crisi dopo l’annunciato aumento delle accise sui carburanti, crisi sfociata nella protesta dei gilets jaunes. L’annuncio è stato rinviato di qualche giorno. Tra i provvedimenti il cui annuncio è stato rinviato, sembra certo che vi sia quello di abolire l’Ecole Nationale d’Administration, più spesso citata con l’acronimo Ena. Vale la pena soffermarsi sulla questione anche perché la formazione dei nostri dirigenti ministeriali si è ispirata, a partire dal Testo Unico del 1957 che aveva creato la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione (Sspa), al modello Ena. Non è un caso se l’ultima messa a punto della formazione dei nostri dirigenti pubblici ha ricondotto la formazione di tutti i dirigenti pubblici alla Sspa rinominata, proprio, Scuola Nazionale d’Amministrazione.

Se si va sul sito dell’Ena, si può leggere che la scuola è stata creata nel 1945 alla liberazione dall’occupazione tedesca. In effetti l’Ena fu concepita da De Gaulle nel 1943 ad Algeri, sede del governo in esilio. A De Gaulle arrivavano notizie non rassicuranti sull’asservimento dell’amministrazione statale all’occupante nazista. Al suo oramai certo rientro in Francia, De Gaulle non avrebbe desiderato trovarsi a contatto con una amministrazione che avrebbe avuto varie cose da nascondere e da farsi perdonare. Fu subito chiaro a De Gaulle che, una volta rientrato in Francia, avrebbe avuto bisogno di una amministrazione trasparente i cui meccanismi non fossero patrimonio privato della dirigenza in carica. Patrimonio trasferito da questa dirigenza con il contagocce ai subordinati degni di fiducia.

Si mise subito a progettare un meccanismo di selezione dell’alta dirigenza non basato sulla cooptazione fiduciaria basata sull’apprendimento per affiancamento. Appena rientrato in Francia, De Gaulle si mise subito a rinnovare l’amministrazione, non tanto con delle purghe dei collaborazionisti quanto con un meccanismo di selezione basato sulla formazione incentrata sull’apprendimento delle prassi amministrative non più per affiancamento ma in aula. I corsi dell’Ena si sono subito basati sui dossier concreti e sono stati chiamati ad insegnare i dirigenti in servizio. In questo modo De Gaulle si è trovato rapidamente a disposizione una amministrazione trasparente e, nel contempo, il clima all’interno dell’amministrazione non è stato più caratterizzato da servilismo ma da franca collaborazione basata sul saper fare concreto.

Il successo dell’Ena è stato subito indiscutibile e diversi Paesi hanno tentato di imitarne il modello. Citiamo qui la scuola di Speyer in Germania e la nostra Sspa. Tra l’Ena e la Sspa si è comunque presto venuta a marcare una notevole differenza. Mentre all’Ena non c’è mai stato un corpo di docenti (i corsi vengono tenuti da dirigenti in servizio pro bono), alla nostra Sspa si è presto venuto creando un corpo di così detti “docenti stabili”, prevalentemente docenti universitari di ruolo in università di periferia alla ricerca di una collocazione a Roma. Le materie di studio sono per lo più di tipo teorico e ripetono i corsi universitari. La nostra Sspa non ha mai goduto del prestigio dell’Ena.

Ma se l’Ena è così efficace, perché Macron – che è un “enarca” essendosi formato all’Ena – la vuole chiudere? L’Ena è oggetto di critiche serrate da diversi decenni. All’Ena si rimprovera di aver dato vita ad una sorta di casta. La maggior parte di chi supera il concorso d’entrata all’Ena è figlio di un enarca. Questo non è indice di corruzione ma del consolidamento di una forma mentis molto radicata che, si può dire, si trasmette per via ereditaria.

Il fenomeno è reso ancora più marcato dal fatto che più del 70% di coloro che superano l’esame di ammissione all’Ena provengono da uno dei nove Istituti di Scienze Politiche (la maggior parte di questi, comunque, proviene da SciencePo Parigi). Qui vale la pena fare una rapidissima digressione. L’Istituto di SciencePo di Parigi nacque, insieme al “Cesare Alfieri” di Firenze, come reazione alla sconfitte di Lissa (per l’Italia) e di Sedan (per la Francia). Una serrata corrispondenza al di qua e al di là delle Alpi (conservata alla biblioteca di SciencePo Parigi) mise in evidenza che le due sconfitte non erano da imputare ai due eserciti quanto ad un ceto dirigente basato sull’ereditarietà e non sulla competenza. I due istituti di Scienze Politiche (l’italiano e il francese) avrebbero dovuto sfornare una nuova élite basata sulla competenza. Non ci si deve poi meravigliare se l’accesso all’Ena è pressoché monopolio di ex allievi di Scienze Politiche. Comunque la sinergia ENA – SciencePo ha in effetti creato una casta.

Alla fine degli anni ’90 si tentò di spezzare questa casta trasferendo l’Ena a Strasburgo, lontano dai corridoi ministeriali di Parigi. La distanza non ha peraltro intaccato la casta.

Quali insegnamenti possiamo trarre per il nostro Paese? Probabilmente tre. Il primo riguarda il fatto che l’aspetto positivo dell’Ena consiste, a differenza di quanto accade da noi, nel non avere un corpo di docenti stabili e di concentrare l’insegnamento sull’analisi dei dossier concreti (i faldoni delle nostre pratiche). Il secondo sul fatto che bisogna evitare un reclutamento monopolizzato da un solo organismo. Il terzo il fatto che vale la pena prendere in considerazione il modello tedesco basato sulla formazione duale o in alternanza (scuola lavoro). Qui non si reclutano i già laureati ma si hanno corsi di laurea mirati esclusivamente al sevizio nelle pubbliche amministrazioni, corsi basati sulla formazione in alternanza.

L'Ena è diventata casta e Macron ha deciso di sacrificarla

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