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Chi e come può sbloccare l’impasse in Libia intervenendo nel punto nevralgico della sua economia e, quindi, della sua possibile stabilizzazione istituzionale? Il petrolio e il suo sfruttamento (anche da un punto di vista infrastrutturale) come potenziale nuovo mastice per sanare ferite e ricomporre un quadro il più possibile unitario.

Dopo la Conferenza di Palermo, ecco il primo passo compiuto dalla National Oil Corp, che per bocca del suo vertice “fa di conto” e apre, di fatto, una fase che potrebbe rivelarsi decisiva per il futuro del paese.

IL RUOLO DELLA NOC

La Libia ha bisogno di 60 miliardi di dollari di investimenti per ricostruire la propria industria energetica nazionale. Lo ha detto Mustafa Sanalla, presidente della National Oil Corp. L’importo è stato calcolato in virtù di un paper redatto da Wood Group su richiesta del governo libico. L’80% del fabbisogno verrà utilizzato nella fase di raffinazione per ripristinare la produzione libica ai livelli pre guerra civile del 2011.

Il restante invece per aggiornare l’infrastrutturazione del paese, con un cip di ingresso di 20 miliardi che, secondo Sanalla, rappresenteranno il primo passo per avviare questa nuova fase. Ma chi può permettersi di partecipare a questo nuovo piano Marshall per il greggio libico?

IN CIRENAICA

Partiamo dal player russo. Il rapporto tra la Cirenaica e la Russia è saldo e costante. L’autoproclamato Esercito Nazionale Libico, guidato dal Generale Khalifa Haftar, ha sempre rivendicato un fil rouge con Mosca che, fino ad oggi, si è tradotto in un sostegno all’equipaggiamento militare. Va ricordato che Gheddafi e la Russia in passato avevano stabilito un forte rapporto militare, fino a prima dei fatti del 2011 con il conseguente divieto internazionale di vendere armi alle forze armate libiche.

Haftar però dispone anche di un canale privilegiato con Egitto ed Emirati Arabi, soprattutto perché lo vedono come un baluardo contro quei gruppi islamici in Libia foraggiati da Qatar: una vicinanza che potrebbe tramutarsi in appoggio finanziario.

LA QUESTIONE PORTI

Lo scorso giugno però i principali porti petroliferi libici di Es Sider e Ras Lanuf sono stati chiusi dopo il moltiplicarsi degli attacchi guidati da Ibrahim Jadhran (con contractors provenienti da Ciad e Sudan) che hanno prodotto il dimezzamento della produzione petrolifera nazionale. Gli stessi scali erano stati inglobati sotto il controllo del generale Haftar nel 2016, per poi consentirne l’utilizzo da parte della Noc. Quest’ultima, però, di proprietà statale, riconosce l’autorità del governo di Tripoli presieduto da Al-Serraj che è il principale competitor di Haftar.

NON SOLO GAZPROM

Mosca, quindi, teme che l’instabilità diffusa non sia foriera di nuovi e positivi investimenti, per cui da sei mesi ha intensificato l’azione diplomatica da un lato e i possibili interventi di merito in loco dall’altro. Mohammed Siala, Il ministro degli Affari Esteri della Libia nel Governo di Accordo Nazionale (GNA), da tempo dialoga con il vice ministro degli esteri russo Mikhail Bogdanov e il segretario del Consiglio di sicurezza della Federazione Russa Nikolai Patrushev. Colloqui che si sono tramutati in convergenza di opinioni in occasione del Forum economico internazionale di San Pietroburgo, a cui intervenne anche il mediatore finanziario Lev Dengov, nome che lega i rubli di Mosca al potere libico. E che potrebbe essere una possibile chiave operativa per la nuova stagione legata agli investimenti petroliferi.

Gazprom è presente in Libia in quattro settori, in collaborazione con Wintershall AG (filiale di German chemical BASF). Inoltre da un anno Rosneft acquista materie prime dalla Noc, mentre altri player russi, come Tatneft, hanno espresso manifestazioni di interesse per il mercato libico.

EXXON & CO

Punto di partenza il dato relativo alla capacità inutilizzata dei produttori mondiali di petrolio che, a inizio del 2019, scenderà al di sotto dell’1%: è la prima volta nella storia dei mercati energetici dal dopoguerra ad oggi. Peggio del 1979 e anche del 2008, quando la domanda cinese condusse al prezzo di 147 dollari al barile.

Per cui la cosiddetta disfunzione libica, se dovesse aumentare ulteriormente, porterebbe i già lunghi tempi di risoluzione dei conflitti a tramutarsi in una minaccia agli interessi americani in un fazzoletto di deserto dove sono puntati già gli occhi di Francia, Italia, Egitto, Emirati e Qatar oltre alle due super potenze.

Ma il dato su cui riflettere è che di fatto oggi Haftar può controllare i giacimenti petroliferi più ricchi della Libia, per questa ragione sia Parigi che Abu Dhabi non mancano di circondarlo di attenzioni.

Un quadro in cui il ruolo di Exxon è destinato a restare primario: il colosso Usa ha realizzato in Libia il primo giacimento petrolifero in assoluto e avviato la commercializzazione prima della crisi tra Stati Uniti e Libia degli anni ’80. E dal 2009 ha iniziato a perforare il primo pozzo di esplorazione in acque profonde in tandem con Noc al largo della Sirte.

Un bagaglio di know how che non potrà che avere il suo peso specifico dopo le richieste della Noc.

twitter@FDepalo

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