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Si carica di tensione politica il clima intorno all’esercitazione Trident Juncture della Nato. La Russia non si lascia intimidire, e annuncia nuove e modernissime armi. Nel frattempo, sale la temperatura anche sul fronte missilistico, dopo che Donald Trump ha parlato del possibile ritiro degli Stati Uniti dal trattato sui missili a raggio intermedio.

BOTTA E RISPOSTA

Hanno preso il via ieri le operazioni di Trident Juncture, da molti considerata la maggiore esercitazione dell’Alleanza Atlantica dalla fine della Guerra fredda. Circa 50mila soldati si sono ritrovati in Norvegia, molto vicini al confine russo per manovre che simulano la reazione a un aggressione. Inevitabilmente, Mosca si è sentita chiamata in causa, anche perché, sul fronte militare, i rapporti con l’Occidente sembrano già abbastanza logori per le ultime notizie sul trattato Inf. La scorsa settimana, Trump ha nuovamente denunciato la violazioni russe all’accordo Intermediate-Range Nuclear Forces, cosa che gli Usa (così come i russi in direzione contraria) fanno dal 2014. Siglato nel 1987 dai presidenti di Stati Uniti e Unione Sovietica, che proibisce esplicitamente il dispiegamento a terra di missili con un raggio fra 500 e 5.500 chilometri. Per la prima volta però, il presidente Usa ha anche minacciato l’uscita dall’accordo, alimentando i timori per la tenuta del complessivo sistema di riduzioni delle armi nucleari (qui e qui gli approfondimenti dei generali Mario Arpino e Vincenzo Camporini).

LA DIMENSIONE TRANS-ATLANTICA

Trident Juncture non ha a che fare con il trattato Inf. Primo, perché esercitazioni di questa portata sono pianificate da anni e organizzate nel giro di parecchi mesi. Secondo, perché le manovre sono della Nato, mentre l’Inf è un trattato bilaterale che vincola Stati Uniti e Russia. Eppure, le questioni vengono ormai considerate legate tra di loro, quanto meno nell’ambito di un clima sempre più rigido tra Mosca e Washington. Il merito di questo link è da attribuire soprattutto all’amministrazione Trump, che ha portato con insistenza il tema missilistico (condito da ripetute accuse delle violazioni russe) all’interno del contesto trans-atlantico. Le ragioni sono almeno due: consolidare il legame con gli alleati europei nel confronto con la Russia; esercitare una pressione maggiore su Putin, che si trova ora a dover rispondere alle accuse non più solo degli Usa, ma anche della Nato. E infatti l’esercitazione Trident Juncture si è aperta nello stesso giorno in cui il Consiglio nord atlantico discuteva dell’Inf, esprimendo preoccupazione per il sistema russo SSC-8, missile da crociera con raggio intermedio in fase di sviluppo.

LE PAROLE DI STOLTENBERG

A poco sono servite dunque le parole del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg per cercare di stemperare la tensione intorno a Trident Juncture. “Non cerchiamo alcun confronto”, ha detto aprendo le operazioni e ricordando la presenza, nell’ambito degli osservatori dell’Osce, anche di russi e bielorussi. “Sono contento che abbiamo accettato l’invito”, ha aggiunto annunciando la piena operatività degli assetti coinvolti, “dalla nave più grande, al drone più piccolo”. Eppure, ha comunque ammesso Stoltenberg, l’esercitazione “manda un chiaro messaggio alle nostre nazioni e a ogni potenziale avversario: siamo pronti a difendere tutti gli alleati contro qualsiasi minaccia”.

LA RISPOSTA RUSSA

Se c’è un messaggio, c’è anche un destinatario. E volendo o no, la Russia si è sentita chiamata in causa. “Le attività militari della Nato vicino ai nostri confini hanno raggiunto il livello più alto dai tempi della Guerra fredda”, ha detto il ministro della Difesa Sergei Shoigu, notando come le operazioni “simulano un’azione militare offensiva”. Nel frattempo, anche il presidente Vladimir Putin interveniva sulla questione, accettando anche lui il link tra Trident Juncture e il trattato Inf. “La Russia non minaccia nessuno e ha rigidamente rispettato i propri obblighi nella sfera della sicurezza internazionale e del controllo degli armamenti”, ha notato. Poi, la sottile minaccia, espressa nell’intenzione di commissionare armi modernissime “che non avranno paragoni nel mondo”.

I NUMERI DELL’ESERCITAZIONE

Ad ogni modo, è partita ieri l’esercitazione più grande dell’Alleanza Atlantica da oltre quindici anni. Sono circa 50mila i soldati impegnati nelle operazioni, per la totalità dei Paesi della Nato oltre ai partner Svezia e Finlandia. Solcheranno la Norvegia 180 velivoli, 65 unità navali e 10mila veicoli terrestri. Per avere un’idea, è come avere una fila di oltre 92 chilometri di mezzi miliari, impegnata in un Paese per due settimane, dal 25 ottobre al 7 novembre. Si tratta di operazioni multiscenario e multidominio, che coinvolgono anche l’ambiente cyber, ormai elemento trasversale e onnipresente. Eppure, particolare attenzione è posta la dimensione navale. Non a caso, le manovre saranno guidate dal comandante del Joint Force Command (Jfc) di Napoli, l’ammiraglio statunitense James G. Foggo, dalla plancia della Uss Mount Whitney, nave comando di forza anfibia (classe Blue-Ridge).

LA PARTECIPAZIONE ITALIANA

Prende parte all’esercitazione anche l’Italia, con un dispositivo formato dagli assetti principali dell’Esercito, posto sotto il comando del generale Angelo Michele Ristuccia, comandante della 132^ Brigata corazzata “Ariete”, componente principale della Very high readiness joint task force (Vjtf) italiana per quest’anno. Partecipa anche l’Aeronautica militare, schierando nelle basi di Bodo e Oyagarden numerosi assetti deputati alle operazioni aeree composite (Comao). In particolare, solcheranno i cieli della Norvegia gli Eurofighter del 36° e 37° Stormo, i Tornado del 6° Stormo, e i velivoli del 14°, in particolare il tanker KC-767, e il Caew, velivolo per sorveglianza, avvistamento, comando e controllo. A supporto strategico e tattico di uomini e mezzi ci saranno anche i C130J della 46^ Brigata aerea.

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