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“Incontrerò il personale specializzato che realizza le ali ed esegue l’assemblaggio finale dell’F-35; sono oltre 900 i posti di lavoro creati finora nell’area”. Così l’ambasciatore degli Stati Uniti a Roma Lewis M. Eisenberg ha annunciato via Twitter la visita agli stabilimenti di Cameri, in provincia di Novara, cuore della partecipazione italiana al programma Joint Strike Fighter. Nel sito, situato all’interno della base dell’Aeronautica militare e gestito da Leonardo con il supporto tecnologico di Lockheed Martin, vengono infatti assemblati i velivoli destinati al nostro Paese e all’Olanda, per un’attività che su tutto il territorio nazionale coinvolge “oltre 70 imprese” e coinvolgerà, a pieno regime, sei mila persone tra occupati diretti, indiretti e indotti.

LA PARTECIPAZIONE ITALIANA

L’Italia partecipa al programma multinazionale F-35 Lightning II-Jsf dal 1998, con l’adesione alla fase di Concept demonstration in qualità di partner informato. Nel 2002, il nostro Paese è entrato nella fase di System desing and development come partner di secondo livello in un gruppo di otto Stati oltre gli Stati Uniti (Regno Unito, Olanda, Australia, Canada, Danimarca, Norvegia e Turchia). Nel 2009, con la decisione relativa all’acquisizione dei velivoli, è stata approvata la realizzazione della linea nazionale di assemblaggio e verifica finale (Faco) che tuttora rappresenta la maggior parte della partecipazione industriale italiana al programma, a Cameri. Qui si realizzano anche le ali dei velivoli di quinta generazione, in un numero proporzionale agli ordini. Le previsioni iniziali, prevedano per la Faco italiana circa 800 cassoni alari. Da segnalare anche che è stato un F-35 prodotto in Italia il primo velivolo nella storia del programma a effettuare un volo internazionale (settembre 2015) e un volo transatlantico (febbraio 2016). Inoltre, dopo Uk, il nostro Paese è il più importante partner internazionale del programma, contribuendo per il 4,1% alle fasi di progettazione e sviluppo dell’F-35.

UN’ESIGENZA OPERATIVA

Tale partecipazione nazionale è attualmente al vaglio di “valutazioni tecniche” proposte, sin dal suo insediamento, dal ministro della Difesa Elisabetta Trenta. “Ha avuto il coraggio di non sottrarsi all’argomento, scegliendo al riguardo di usare un linguaggio prudente, ma anche molto chiaro”, ha spiegato a Formiche il generale Vincenzo Camporini, vice presidente dello Iai e già capo di Stato maggiore della Difesa. Eppure, ha aggiunto, è bene ricordare che “oggi, al mondo, non esiste nulla che possa essere paragonato agli F-35 e l’Italia ha bisogno di questi aeroplani per mantenere, si badi bene, non per aumentare le sue capacità operative in un mondo che è sempre più inquieto”. A ricordare tali esigenze è stato di recente il capo di Stato maggiore della Marina Valter Girardelli, intervenuto in audizione alla commissioni Difesa di Senato e Camera. Il programma, che per la Marina riguarda 15 velivoli (inizialmente erano 22, poi ridotti) è “imprescindibile e di fondamentale importanza, per poter esprimere in pieno le capacità strategiche e operative della portaerei nave Cavour”, ha spiegato l’ammiraglio. “Il velivolo – ha aggiunto – è attualmente l’unico con capacità di decollo corto e appontaggio verticale nel mondo”.

I NUMERI DEL PROGRAMMA

Nel frattempo, il programma procede verso l’obiettivo di ridurre i costi dei velivoli. Il Pentagono e Lockheed Martin hanno raggiunto lo scorso luglio un handshake agreement relativo all’undicesimo lotto di produzione. Sebbene manchino dettagli sul valore complessivo, indiscrezioni (di Reuters) parlano di un costo di 89 milioni di dollari per un F-35 A, che significherebbe una riduzione del 6% rispetto ai 94,6 milioni del lotto precedente (Lrip 10), siglato a febbraio 2017 per 90 velivoli (di cui 35 destinati ai partner internazionali). Allora, la versione A del velivolo era scesa per la prima volta sotto quota 100 milioni, con una riduzione del 60% rispetto al lotto 1 e del 7% rispetto al lotto 9. L’obiettivo resta di arrivare, entro il 2020, sotto la soglia di 80 milioni di euro, paragonabile al costo di un velivolo di quarta generazione e mezzo. Su questo, influirà il progressivo passaggio alla produzione a pieno rateo. A giugno le consegne sono arrivate a 300, mentre per quest’anno le previsioni parlano di 91 velivoli (rispetto ai 66 consegnati nel 2017, il 40% in più sul 2016). Tra l’altro, proprio questa settimana, il Joint Program Office e il costruttore americano hanno presentato i risultati preliminari dei test a terra sulla variante A del velivolo. Indicano la possibilità di un’estensione della durata di vita operativa oltre le ottomila ore di volo attualmente previste, con benefici per i costi sostenuti da ogni cliente del Joint Strike Fighter.

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