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Troppo e troppo in fretta. Troppo, perché siamo al ribaltamento delle posizioni uscite dalle urne il 4 marzo (32 a 17 per il M5S meno di un anno fa, 33 a 23 per la Lega nei dati Swg di questa settimana).

Troppo in fretta perché così tutto diventa quasi impossibile da gestire, giacché l’ansia finisce per prendere il sopravvento, quell’ansia che sta consumando il M5S come una candela. Per questo oggi Matteo Salvini è solo: forte, fortissimo ma solo. E lo sarà ancora di più tra pochi giorni, quando altri due elementi andranno ad aggiungersi alla condizione peculiare del leader della Lega.

Da un lato arriverà domenica prossima la “sentenza” del tribunale elettorale sardo, che decreterà un nuovo successo della mutevole coalizione di centro-destra: un successo che però relegherà il movimento in terza posizione a siderale distanza dal risultato delle politiche (M5S ha preso il 42 % in Sardegna il 4 marzo 2018).

Dall’altro c’è il referendum su Salvini che prenderà corpo sulla piattaforma Rousseau nelle prossime ore, il cui esito è comunque problematico per il ministro dell’Interno. Già perché se vince il “si” al processo (per esprimersi in questo senso bisogna votare “no” al sondaggio, segno che anche alla Casaleggio &Co stanno perdendo di lucidità, oppure sono diventati tutti discepoli di Forlani) il M5S batte un colpo di vitalità politica non da poco, ma lo fa consegnando il ministro (e forse anche altri membri del governo) ad una vicenda giudiziaria che potrebbe rivelarsi piuttosto impegnativa.

Se invece prevale la linea del sen. Giarrusso (e di tutti quelli che sono per respingere la richiesta della magistratura) si apre un baratro spaventoso tra militanti e semplici elettori, consegnando il movimento ad un futuro ancor più impegnativo sul fronte del consenso (come correttamente osservato da Marco Travaglio nel suo editoriale).

Insomma una classica situazione “lose-lose”, nella quale le tossine sono presenti quale che sia l’esito della vicenda. A questo “uno-due” (voto sardo più referendum on line) si aggiunge il contesto politico e, soprattutto, economico, non certo indirizzato alla serenità.

Salvini dispone infatti di una sostanziale ostilità da parte del Cavaliere, che ne subisce in modo fisico l’esuberanza a cui non riesce a rispondere per evidenti limiti di età e di “usura”. Il leder di Forza Italia oggi ha quindi due obiettivi semplici e precisi: dimostrare che è in grado di dare un’ulteriore zampata elettorale e vedere un inizio di calo dei consensi della Lega, messa in difficoltà dalla permanenza al governo.

Al tempo stesso Salvini è il nemico perfetto per la sinistra, lontana anni luce dalla via della ripresa ma comunque unita nell’avversità a lui ed al governo di cui fa parte. Anzi, se possibile, con la vittoria di Zingaretti ai gazebo del 3 marzo sarà proprio verso il leader della Lega che cresceranno le critiche, poiché i voti in libera uscita dal M5S sono già in movimento e per sostenerli occorre prendersela proprio con l’inquilino del Viminale.

Infine c’è, ovviamente, la galassia-movimento di Grillo, Casaleggio, Fico, Di Battista e Di Maio, cioè l’alleato di governo. Qui però dobbiamo andarci piano con le parole, o meglio con una parola in particolare, cioè alleato.

Perché è vero che il governo è di coalizione a due, ma è altrettanto vero che non può reggere se mese dopo mese uno dei due guadagna sempre voti e l’altro sempre li perde. Così diventa un incubo (per uno dei due), con conseguenze nefaste già nel medio periodo (o forse nel breve).

Basta Di Maio a tenere botta? Ancora per un po’ certamente si (anche perché il risultato dell’Abruzzo ha dato una mazzata in testa soprattutto a Di Battista), ma ad un certo punto anche il giovane ministro rischia di non reggere.

Poi c’è l’economia, che sta per presentare il conto per assenza di crescita che diventerà giudizi negativi delle agenzie di rating, poi numeri di finanza pubblica peggiori di quelli previsti, poi necessità di una manovra correttiva, poi una legge di bilancio in autunno con 23 miliardi di clausole di salvaguardia da trovare. Tutti motivi di seria preoccupazione che vedono in allarme tutte le categorie produttive, ormai sempre più insofferenti verso i continui rinvii (Tav in testa) che sono figli delle palesi divergenze tra i due partiti al governo.

Salvini ha il vento in poppa, non c’è dubbio. E può contare su fortissimo consenso elettorale che troverà conferma in tutti gli appuntamenti dei prossimi mesi, elezioni europee di maggio comprese. Ma è solo, maledettamente, faticosamente e (forse) inevitabilmente solo.

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