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Da Viktor Orban a Tony Blair il passo è lungo. Matteo Salvini in una settimana è riuscito a incontrare tutti e due: il primo ministro ungherese, portabandiera del sovranismo (anti)europeo, e l’ex premier britannico, ricordato ancora oggi (non senza qualche rimorso per quella sinistra labour che contribuì a fondare) come uno dei più grandi alfieri della globalizzazione. Il ministro dell’Interno ha ricevuto oggi il britannico al Viminale. L’ultima visita italiana di Blair era stata a Palazzo Chigi nel 2014, quando a capo del governo (allora anche formalmente, sic!) c’era l’altro Matteo. “Positivo e lungo incontro con l’ex premier britannico Tony Blair su immigrazione, Brexit, politiche energetiche” ha chiosato soddisfatto Salvini all’uscita dal colloquio. Fra i due c’è sintonia, dunque. Salvini d’altronde aveva garantito alla vigilia di arrivare al confronto con l’antisovranista per eccellenza (che è direttore dell’Institute of Global Change e in un recente discorso alla Chatam House ha paragonato i populismi europei ai totalitarismi degli anni’30) senza pregiudizi: “Sono curioso per natura e voglio confrontarmi con chi è diverso da me”.

A distendere gli animi forse avrà aiutato anche il contenuto dell’incontro: niente massimi sistemi, solo questioni estremamente pragmatiche. A cominciare dal settore energetico. Toni Blair è infatti dal 2014 consulente del consorzio che presiede ai lavori per la costruzione del condotto Tap (Trans Adriatic Pipeline) formato da British Petroleum, StatOil e dall’azero Socar. Il gasdotto, che una volta completato porterà dal giacimento Shah Deniz in Azerbaijan in Europa circa 10 miliardi di metri cubi di gas all’anno, si trova oggi al centro del fuoco amico dei partiti che formano la coalizione di governo. I Cinque Stelle (eccezion fatta per i “tecnici” al governo) sono da sempre contrari e vorrebbero fermare i lavori in ossequio alla protezione ambientale. La Lega vuole andare avanti e si ritrova dall’altra parte dello steccato come su altri dossier nelle infrastrutture (Ilva, Tav, etc). Lo dimostra il faccia a faccia di Salvini con Blair. Non è chiaro cosa sia uscito fuori, ma il leader del Carroccio nei giorni precedenti aveva chiarito la sua posizione in un’intervista a Radio24: “Per quello che ho studiato del dossier Tap i benefici sono superiori ai costi anche ambientali, perché si tratta di spostare solo alcune piante”. Quanto alla chiaccherata con l’ex primo ministro di Sua Maestà, Salvini aveva confidato in radio di essere “pronto a parlare di tutto, anche di Tap” perché  “avere un costo dell’energia inferiore al 10% per famiglie e imprese per l’Italia è irrinunciabile”.

Non è tutto. C’è stato il tempo di parlare di investimenti in Africa. Un tema che preme particolarmente al governo gialloblu in questo momento, allo scadere della doppia missione in Cina del ministro dell’Economia Giovanni Tria e del sottosegretario al Mise Michele Geraci (qui l’intervista di Formiche.net), che si è recato a Pechino proprio mentre il presidente Xi Jinping incontrava trenta leader africani durante il Forum on China Africa Cooperation per discutere di investimenti per il tratto del progetto One Belt One Road che interesserà il continente africano.  Investimenti e stabilità politica, questa la ricetta cinese per l’Africa che anche il governo italiano sembra voler imitare. “Ho proposto una conferenza su sviluppo e investimenti per l’Africa e, in generale, abbiamo apprezzato la comune volontà di fare cose concrete” ha spiegato Salvini dopo l’incontro. La figura di Blair è molto conosciuta in Africa, e apprezzata in quei Paesi come la Sierra Leone dove si è speso in prima persona per sostenere la campagna contro l’epidemia di ebola. Lasciata Downing Street l’ex premier ha dato vita all’Africa Governance Initiative (AGI), un’organizzazione no-profit nata nel 2008 con lo scopo di aiutare i leader politici dei Paesi africani a mantenere una governance solida e incentrata sullo sviluppo sostenibile. Salvini dal canto suo è da sempre fautore della linea “aiutiamoli a casa loro” per fermare i flussi migratori. In un’intervista al Washington Post quest’estate aveva auspicato un piano Marshall europeo nel continente nero, e soprattutto nei centri nevralgici dei traffici di esseri umani: “Niger, Chad, Mauritania, anche la Nigeria è molto importante”.

Che ci facevano insieme al Viminale Salvini il sovranista e Blair il globalista?

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