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Quanto può essere grande l’amor patrio ed il senso di responsabilità nazionale? Difficile rispondere. Ma il comportamento di Giovani Tria può contribuire a risolvere il dilemma. Continuamente contraddetto, soprattutto, da Luigi Di Maio, che non gli ha mai nascosto un’ostilità preconcetta, resiste ad ogni attacco. L’ultimo, in ordine di tempo, quella specie di ultimatum a proposito del ventilato intervento di Ferrovie e Cassa depositi e prestiti su Alitalia, in vista di una sua definitiva nazionalizzazione.

“Se non accetta vada via”: questo, almeno stando alle cronache, il preannuncio di ben servito, da parte del vice presidente del consiglio. Mentre esponenti del Movimento, fanno filtrare sulla stampa quello che sarà l’ipotetico futuro organigramma del Governo. Enzo Moavero dovrebbe lasciare il posto ad Alessandro Di Battista, dopo il suo girovagare tra i vari continenti. Dovrebbe lasciare la Farnesina per Palazzo Chigi, al posto di Paolo Savona, che, a sua volta, dovrebbe divenire l’inquilino di Via XX settembre.

Sarà vero? E chi può dirlo? Semplici gossip che completano tuttavia l’assedio nei confronti del ministro dell’economia e della sua squadra. Verso la quale l’insofferenza non è solo di Rocco Casalino, il portavoce di Giuseppe Conte, resa pubblica nell’audio in cui invocava l’epurazione dei tecnici del Mef. Per sdrammatizzare il tutto, si può solo dire che non è la prima volta che questo accade. Antonio Fazio, quand’era governatore della Banca d’Italia, aveva nel suo studio il quadro di San Sebastiano trafitto dalle frecce. Lo aveva voluto per rendere esplicita la sua condizione esistenziale. Ma con una differenza sostanziale: gli scontri con i vari esponenti politici avvenivano in privato ed in totale riservatezza. Non erano il titolo d’apertura, come nel caso di Tria, dei quotidiani nazionali.

Quella dei 5 stelle è, invece, una perfida strategia. Al momento, per tante ragioni, Tria non può che restare al suo posto. C’è una manovra finanziaria da portare avanti. Un complicato rapporto con la Commissione europea da gestire, nella ricerca di quel necessario compromesso auspicato da Mario Draghi, nel suo intervento a Bali. Al tempo stesso Sergio Mattarella ha fatto conoscere da tempo come la pensa, con la sua parabola sui rischi delle lusinghe del potere. Insomma non è facile licenziare il ministro in carica dell’economia, come si trattasse di una colf. Quindi Tria resta al suo posto, a meno che non sia lui a gettare la spugna. Ma se, anche, resiste alle continue provocazioni, lo si può sempre più delegittimare, imbalsamandolo.

Ed ecco allora il senso di tante prese di posizioni. Le trappole che gli vengono tese. Si finge un possibile accordo, il ministro in qualche modo si espone. Per essere subito smentito. Messaggio evidente: urbi et orbi. Non è lui che decide, nemmeno nelle materie di stretta competenza, quindi non perdete tempo. Durerà? Difficile dire. Ma se fossimo in lui, troveremmo lo spazio necessario, in un’agenda pure complicata fino all’inverosimile, per ragionare non solo di numeri, ma di politica.

Giovanni Tria e i 5 Stelle. C'entrano i numeri ma anche la politica

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