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Dopo l’importante accordo firmato nei giorni scorsi tra Santa Sede e Cina, stamane Papa Francesco, in piazza san Pietro, nella sua prima udienza seguita al viaggio apostolico nei Paesi Baltici e dopo averne parlato nella serata precedente, durante il volo di ritorno con i giornalisti, ha lanciato un appello direttamente ai cattolici cinesi, in cui ha auspicato “che in Cina si possa aprire una nuova fase, che aiuti a sanare le ferite del passato, a ristabilire e a mantenere la piena comunione di tutti i Cattolici cinesi e ad assumere con rinnovato impegno l’annuncio del Vangelo”. Un richiamo che ha poi preceduto il messaggio che lo stesso pontefice ha inviato ai cattolici cinesi e alla Chiesa universale. Un lungo testo in cui Francesco tocca numerose questioni dello storico accordo, e che si conclude con un’invocazione alla Vergine Maria. Di questo, Formiche.net ha parlato con il sinologo Francesco Sisci, saggista, editorialista, ricercatore della China’s People’s University ed esperto di questioni vaticane oltre che cinesi, che nel 2011 ha realizzato la prima intervista a Papa Francesco proprio sulla Cina e sul popolo cinese.

Oggi il Papa ha pubblicato una lunga lettera ai cattolici cinesi. Quali sono i punti più rilevanti a suo avviso, sia del messaggio pubblicato oggi che dell’accordo?

Questo messaggio mi sembra non solo diretto ai cattolici ma alla Cina in generale. I due aspetti sono importanti, altrimenti se si parla solo dei cattolici cinesi sembra che il Governo della Cina sia un’altra entità, ma nella lettera ci sono entrambi gli elementi. Lui ha detto che i cattolici cinesi capiranno l’accordo, che è stata la reazione dei primi giorni: non ci sono state grandi proteste, o vesti stracciate. Fuori dalla Cina ci sono state voci contrarie, ma non in Cina. C’è stato per esempio questo vescovo di Qiqihar, nel nord-est della Cina, Wei Jingyin, considerato il capo dei Vescovi “anti-governativi” e non ufficialmente riconosciuto da Pechino, che ha fatto un’intervista a Gianni Valente in cui si è detto a sostegno dell’accordo. Quindi, un punto importante. L’altro punto ancora più significativo per la Cina è che lui si è detto convinto della fiducia che si è stabilita in questi lunghi anni. Che è la base del rapporto. Ha citato il De Amicitia, tradotto in cinese. Quel trattatello fu una cosa estremamente importante in Cina, perché la relazione personale è la base di tutto. Matteo Ricci trovava nei classici occidentali dei riferimenti di sostegno a questo spirito cinese. Il Papa, citandolo, dice che è la base su cui andremo avanti.

Il Papa ha parlato di rapporto molto antico tra cristianesimo e Cina.

C’è stato un dono di Xi Jinping, nell’agosto 2016, al Papa di una copia della Stele di Xian del sesto secolo dopo Cristo, testimonianza del primo arrivo del cristianesimo, con i nestoriani, in Cina. Il cristianesimo è arrivato a varie ondate. Xi Jinping voleva dire al Papa che il rapporto della Cina con il cristianesimo è antico, e il Papa ha ripreso questo tema. Dicendo che non è una cosa di oggi, ma di almeno quindici secoli.

Cosa risponde a chi sostiene che Pechino non rispetterà la libertà religiosa, visto che nel Paese un po’ nulla è lineare. 

Chi vivrà vedrà. Vedremo. È un accordo, non è una sentenza del tribunale. Se le cose vanno male, il Vaticano si ritirerà. Ma dire non facciamo niente perché domani forse piove… È meglio uscire prendendo l’ombrello.

Se Abramo avesse chiesto condizioni sociali e politiche non sarebbe mai partito, ha scritto Francesco.

Quella tesi è stata uno dei motivi per cui si è andati avanti per tanti anni, dicendo che non ci si può fidare. Proviamo: se succede qualcosa di storto non continuerà in eterno. Se accadrà, la Chiesa lo denuncerà e lo sapremo tutti.

Il Papa invoca, a livello locale, un dialogo franco e un ascolto senza pregiudizi che permetta di superare reciproci atteggiamenti di ostilità. Sarà possibile?

Ci sono due ordini di problemi tra Santa Sede, cattolici e Cina. Uno a livello centrale, ed è quello dei massimi sistemi. Una volta fissato però, è facile. Ma i problemi più scottanti sono a livello locale. Il sacerdote che non si trova col funzionario locale, il vescovo che odia il capo del distretto. Tutti questi problemi, che ci sono in centinaia di diocesi e migliaia di parrocchie, sono una cosa che si moltiplica, ed è lì ci sono i veri problemi. Ed è lì che bisogna incontrarli. In qualche modo i rappresentanti del clero devono dialogare molto più utilmente con i funzionari locali e viceversa.

Nel linguaggio del Papa è l’avvio di un processo dove non basta una firma ma serve l’impegno, la testimonianza…

Giorno per giorno di migliaia di cattolici in Cina che devono cominciare a dialogare, e migliaia di funzionari cinesi, in maniera nuova gli uni con gli altri. La verità è che nella stragrande parte dei casi va tutto bene e non ci sono problemi. Ma ci sono anche alcune decine di casi problematici. Ma anche in Italia. Vedevo oggi in televisione di un prete che faceva riti voodoo in Chiesa, in Italia. Oppure che fanno l’inchino davanti ai boss mafiosi. Sono i problemi dei preti nelle realtà locali. Ci sono in Italia, paese in cui apparteniamo alla Chiesa, figuriamoci in Cina.

Riguardo alla questione delle nomine il Papa ha attribuito alla pretesa avuta nel passato “di determinare anche la vita interna delle comunità cattoliche, imponendo il controllo diretto al di là delle legittime competenze dello Stato”, la comparsa “nella Chiesa in Cina del fenomeno della clandestinità”.

Il problema è che lo Stato non deve interferire nella Chiesa. Lì vuol dire che con questo accordo non dovrebbero esserci più le condizioni per la clandestinità.

Le voci critiche dicono invece che i cattolici dovrebbero accettare fideisticamente un accordo di cui non si sa nulla.

La verità è che la maggior parte degli accordi che il Vaticano firma con i vari Stati sono in parte o in tutto segreti. Il patto è tutto. La Chiesa non ha mai chiesto ai cattolici di votare su una decisione del Papa. Lei ha mai sentito che un parroco in parrocchia chiede ai fedeli di votare se è giusto o meno un certo precetto del Papa?

Forse con la Riforma del Sinodo…

Guardiamoci negli occhi. Con la Riforma del Sinodo si chiede una maggiore partecipazione dei fedeli. Queste sono tutte critiche che vengono da fuori della Cina. In Cina nessuno si lamenta, anzi tutti sono contenti. Ma non le sembra strano, che le voci di protesta vengono tutte da fuori la Cina? Il che dimostra che forse fuori dalla Cina non conoscono bene la realtà della Chiesa cinese. Che veramente non conoscono, o non vogliono conoscere, la realtà della Chiesa cinese. E che forse si oppongono a questo accordo per loro motivi legittimi ma che hanno poco o niente a che fare con la chiesa. In Cina, almeno per ora, non ci sono queste proteste.

Sul caso della “famosa lettera dell’ex nunzio” il Papa ha detto di aver ricevuto degli scritti di solidarietà da parte dei fedeli di entrambe le Chiese cinesi, firmate dai vescovi. Un segnale di Dio, l’ha chiamato. Da una crisi ne è nata un’opportunità, come si dice nell’antica sapienza cinese.

La lettera dei vescovi è una cosa molto importante e molto bella, e il primo firmatario è questo vescovo Wei Jingyin di Qiqihar.

Rispetto alla lettera di Ratzinger nel 2007 c’è una evoluzione? E se sì, di che tipo?

Credo che ci sia una profonda continuità.

Francesco ha detto che è stato un suo volere quello dell’accordo. Una bella responsabilità, quella che il Capo della Chiesa si è voluto prendere.

Lo ha fatto perché è veramente un santo. Ma per questo accordo avevano lavorato pancia a terra tre papi, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Non è che Papa Francesco è uscito fuori dal solco, però certo la spinta finale è venuta da lui. D’altro canto, bisogna essere in due per il tango. Noi ci concentriamo sul Papa, ma la realtà è che questo accordo si è fatto ieri non perché Francesco ha ceduto di più rispetto ai precedenti, ma perché il presidente cinese Xi ha impostato la questione in termini molto diversi, e molto più innovativi rispetto ai suoi predecessori, e ha dato una spinta per arrivare alla normalizzazione. Questo è il punto. Questo non vuol dire sminuire il Papa, ma vuole mettere un punto: perché oggi e non prima? Perché Xi Jinping ha fatto di più. Se dovessimo dare un merito, non dobbiamo dimenticare che almeno il cinquanta per cento, forse in cinquantuno, si deve a Xi Jinping.

Perché, oggi, l’ha fatto?

Perché diversamente dal passato Xi si è reso conto della potenza soffice, della influenza enorme della Chiesa. Se la Cina, come vuole essere, non può non avere relazioni con una super potenza di influenza del mondo come la Santa Sede. Portando a una impostazione diversa e quindi una concessione maggiore da parte della Cina. La Santa Sede ha la sua influenza globale, enorme. Se la Cina vuole essere una grande potenza non può ignorare la Chiesa, se vuole avere un rapporto con l’Onu, con l’America e con altre organizzazioni, non può ignorare la Chiesa cattolica.

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