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“Nessuno è stato così duro con la Russia come me”. Questa è una delle tante frasi ripetute dal presidente americano Donald Trump che deve essere sottoposta a un serio fact –checking. No, la sua amministrazione non vanta il guinness world record delle maniere forti con il Cremlino. E sì, il summit di luglio fra Trump e il presidente russo Vladimir Putin ad Helsinki ha attirato critiche trasversali in patria per la troppa leggerezza con cui il Tycoon ha stretto mani e si è prestato a photo opportunity con lo zar russo. Un fondo di verità dietro alla reclamazione del presidente però c’è. Checché se ne dica, c’è una parte della Casa Bianca che fin dagli esordi ha scelto la linea della fermezza con Mosca. Trattasi di funzionari, consiglieri diplomatici, militari che fanno il grosso del lavoro dietro le linee a Capitol Hill. Alcuni di questi sono noti al grande pubblico, e sono stati defenestrati da Trump a pochi mesi dall’incarico (è il caso, ad esempio, dell’ex consigliere per la Sicurezza Nazionale, il generale H.R. McMaster, ora sostituito da John Bolton). Altri hanno resistito, e sono ancora oggi i custodi della deterrenza americana contro le aspirazioni egemoniche russe.

Alexander Nazaryan in un lungo editoriale per Yahoo news riporta oggi alla nostra attenzione una figura poco presente nei salotti tv a stelle e strisce (e dunque tantomeno nei media europei): Fiona Hill. Di primo impatto il nome può non dire nulla al lettore. Eppure questa donna di cinquantacinque anni con origini britanniche è oggi una delle colonne della politica estera americana e assiste il presidente degli Stati Uniti in veste di Assistente speciale e Direttrice per gli affari Europei e Russi del Consiglio di Sicurezza Nazionale. Assieme a John Bolton, è la voce più ascoltata da Trump per tutto ciò che è al di là degli Urali. La sua è una storia di riscatto.

Nata da famiglia umile (il padre minatore, la madre infermiera) a Bishop Auckland, un piccolo paese nell’Inghilterra del Nord, Fiona Hill abbandona la campagna per frequentare con una borsa di studio la prestigiosa università St Andrews in Scozia. Il master in storia moderna della Russia presso la School of Government di Harvard nel 1991 apre le porte alla sua carriera negli States e segna in modo indelebile il suo percorso professionale e intellettuale. Negli anni ’90 osserva da vicino, viaggiando per tutto il territorio della Federazione Russa, comprese aree desolate come la Cecenia e il Caucaso, il disfacimento dell’Unione Sovietica e con essa delle speranze di una transizione al mondo occidentale spezzate dalla drammatica parentesi della presidenza Yeltsin. Qualche anno alla Brookings Institution, il più rinomato think tank liberal americano, e un’esperienza come senior advisor al National Intelligence Council (Nic) conferiscono ai suoi viaggi russi un tono ben più istituzionale.

A Mosca non passa inosservata. La Hill fa parte della delegazione occidentale invitata a palazzo da Putin nel 2004 per ascoltare i piani per una controffensiva russa contro i terroristi ceceni responsabili del massacro di trecento studenti in una scuola a Beslan. I viaggi e le missioni per il Nic si moltiplicano. È ancora ospite di Putin per un briefing con esperti e giornalisti occidentali a Novo-Ogaryovo nel 2011, ma i tempi sono cambiati. I rapporti dello zar con l’amministrazione Obama sono pessimi, la tensione con i suoi due segretari di Stato Hillary Clinton e John Kerry è massima. Hill, che su Putin ha scritto diversi volumi che hanno ricevuto il plauso della critica (ad es.: Mr Putin: Operative in the Kremlin), abbandona le speranze di una convivenza pacifica fra Washington e Mosca. “Hill non si fidava più di Putin come il leader che, nel 2004, poteva credibilmente ottenere, se non la cooperazione, la pazienza dell’Occidente”. Durante la campagna presidenziale del 2016 Hill rimane alla larga dai riflettori.

A due settimane dall’elezione di Trump, ospite a Fox News, le viene chiesto, alla luce delle indagini preliminari sul Russiagate, se la Russia abbia interferito nelle elezioni presidenziali. La risposta, inaspettata, è un sì secco. Non proprio il miglior cartellino da visita per presentare un cv alla Casa Bianca. E invece l’esperta entra nella stanza dei bottoni solo due mesi dopo, chiamata dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale Michael Flynn. La Hill inizia la sua esperienza come assistente speciale del presidente in politica estera sotto la guida del generale McMaster (Flynn viene travolto dal Russiagate e deve abbandonare a due settimane dalla nomina). Fra i due non corre buon sangue, “McMaster la trattava in modo terribile” riporta Nazaryan, ma poco importa. Quando nel maggio 2018 il generale viene messo da parte per far spazio al ciclone Bolton, Hill rimane al suo posto.

Oggi quella donna di origini umili cresciuta e formatasi (anche) all’ombra di Mosca è, assieme al preparatissimo Wess Mitchell, la più influente consigliera del presidente degli Stati Uniti sulla Russia (John Bolton come è noto ha una predilezione per l’Iran e il segretario di Stato Mike Pompeo è il key-player del dossier Corea del Nord). Era ad Helsinki accanto a Trump durante il pranzo con il presidente russo. Ma la sua influenza si è fatta sentire anche in occasione delle più dure stoccate dell’amministrazione Usa al Cremlino, dal lancio di 59 Tomahawk contro la base siriana di Al Shayrat nell’aprile 2017 al nuovo round di sanzioni economiche. “Non è una miliardaria, né un ospite fissa di Fox News, non gioca a golf” scrive il corrispondente di Yahoo news. In poche parole, non ha nulla a che vedere con lo stereotipo di ufficiale trumpiano cui siamo stati abituati. Sfugge alle categorie, un po’ abusate dai media, di “falchi” e “colombe”. Conosce Vladimir Putin, ma è la prima fautrice della fermezza alla Casa Bianca. E una delle poche persone sopravvissute al tornado di licenziamenti scatenato da Trump. Ne sentiremo parlare a lungo.

Chi è Fiona Hill, donna forte alla Casa Bianca contro la prepotenza russa

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