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E se sulla Libia la politica italiana stesse cercando nuove rotte? Finora il governo italiano non aveva lasciato spazio a dubbi sul suo  sostegno al governo riconosciuto dall’Onu e presieduto da Fayez Al Serraj. Negli ultimi giorni però, l’incontro del ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi con il generale della Cirenaica Khalifa Haftar, con il quale ha condiviso diversi obiettivi da attuare nella regione, ha scombinato le carte in tavola e nuovi scenari sembrano apparire all’orizzonte.

L’egida dell’Onu non appare ovviamente messa in discussione. Infatti, dopo le ultime violazioni sul cessate il fuoco nel Paese, in una dichiarazione concordata con i capi delle missioni diplomatiche europee a Tripoli, la delegazione dell’Ue in Libia ha sottolineato che l’Europa sostiene la mediazione dell’Onu e si appella alle milizie affinché rispettino la tregua. “L’Ue e i suoi Stati membri sostengono pienamente l’Unsmil e gli sforzi di mediazione dell’inviato speciale dell’Onu, Ghassan Salamè. Ci appelliamo a tutte le parti ad aderire al cessate il fuoco concordato il 4 settembre e a lavorare in buona fede per un suo consolidamento”, si afferma ancora nella dichiarazione.

Ma, mentre l’ambasciatore italiano a Tripoli Giuseppe Perrone è improvvisamente rientrato in Italia per questioni legate alla sua sicurezza personale (ricordiamo le polemiche scaturite dalle sue dichiarazioni ad una televisione libica in cui forniva un giudizio sulle prossime elezioni in Libia), un vero e proprio “giallo” sembra confluire nella sua direzione, rilanciando addirittura l’ipotesi di una sua imminente sostituzione, presagendo una sostanziale rimodulazione delle priorità italiane. In fondo la necessità di dialogare con tutte le parti che ruotano intorno ad un Paese così ampiamente frammentato, qual è la Libia, consente di comprendere le mosse che, da ultimo, ha messo in campo il capo della diplomazia italiana incontrando il generale Haftar.

Senza contare le rassicurazioni che il generale della Cirenaica ha probabilmente fatto giungere agli italiani, preoccupati, oltre che dall’onda d’urto migratoria, anche dalla possibile messa in discussione della competitività sul territorio di aziende quali l’Eni. Il candidato alla presidenza della repubblica libica, Aref Ali Nayed, uomo vicino ad Haftar, in un’intervista a Libero Quotidiano ha messo in evidenza proprio questi punti: “Il generale Haftar non vuole sostituire l’Eni con Total. Non ha mai detto questo. Si occupa solo di questioni militari. Personalmente penso che la presenza dell’Eni sia fondamentale per la Libia e che Eni e Total possano convivere. Se diventassi presidente, non solo tutelerei gli interessi di Eni, ma favorirei ulteriori investimenti. Bisogna, però, porre fine alla violenza e sconfiggere il terrorismo”. Insomma, se quello che spaventava Roma, tra le altre cose, era l’influenza francese sul primato italiano nel settore petrolifero in Libia, i toni utilizzati da Nayed, come senza dubbio quelli usati da Haftar durante l’incontro con Moavero, hanno sicuramente influito alla distensione dei toni. Mediazione, dunque, ma da ambo le parti.

Il candidato libico poi aggiunge: “L’Italia ha sempre avuto stretti rapporti con la Cirenaica, ma recentemente ha finito per orientarsi solo verso Tripoli. Io ritengo la visita di Moavero molto importante. L’Italia deve riprendere i contatti diretti con l’Est. È necessario che gli incontri si moltiplichino e coinvolgano anche l’Ue”. Nayed, inoltre, pur specificando di non definirsi il candidato del generale Haftar, continua: “Sono un candidato indipendente e non aderisco a nessuna fazione. Rispondo solo al mio paese. Supporto il lavoro del Parlamento di Tobruk, l’unica istituzione del paese democraticamente eletta. Nei giorni scorsi il generale ha salutato con favore la mia candidatura, per ora l’unica in campo, ma egli e’ esclusivamente il legittimo comandante militare della Libia orientale”.

La sua opinione sul governo Serraj appare, tuttavia, molto dura: “Il cosiddetto governo di accordo nazionale presieduto da Sarraj non ha alcuna investitura parlamentare. Non è stato in grado di assicurare alla popolazione i servizi essenziali: sanità, educazione, elettricità… Non riesce a controllare nemmeno la Tripolitania. Non capisco come possa andare avanti. Purtroppo continua a beneficiare del riconoscimento della comunità internazionale”.

Per quanto riguarda la strategia italiana sulla conferenza di novembre che si svolgerà in Sicilia, il candidato appare ottimista e confida sulla partecipazione di tutti gli attori in campo: “Sì se sarà in continuità con quella di Parigi. Se ben preparata sono convinto che tutti vi parteciperanno, portando un contributo costruttivo”. Ma se l’unione fa la forza e l’insieme delle parti possono contribuire al cambiamento della frammentata situazione del Paese, resta comunque incerta la data delle elezioni, che i francesi continuano a sostenere si dovrebbe tenere a dicembre: “Non è possibile pensare di ricominciare tutto il lavoro daccapo a ogni incontro, se aspettiamo che tutto sia tranquillo non le terremo mai, impedendo al popolo libico di decidere da sé chi deve governarlo”. La data del 10 dicembre, secondo Nayed, è quindi una discriminante imprescindibile: “C’è bisogno di una deadline per avere una base di lavoro precisa”. Un intenso lavoro di dialogo che, a due mesi dalla conferenza programmatica siciliana, raccoglie già diversi frutti e, con una quantomeno inaspettata virata, conduce l’Italia verso nuovi lidi e nuove alleanze.

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