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Hamas e altre fazioni palestinesi hanno ripreso la guerra contro Israele, con un’escalation che ancora divide gli analisti sulle prospettive di una nuova guerra. Da marzo a maggio le manifestazioni chiamate “la grande marcia del ritorno” hanno riacceso le tensioni al confine meridionale di Israele. Gli aquiloni incendiari che hanno causato numerosi incendi nel sud di Israele hanno rappresentato un’alternativa che in molti preferivano ai missili e alla guerra. Dopo il fallito tentativo di mediazione a inizio mese da parte del diplomatico Muhammad al-Amadi (del Qatar) Hamas torna al vecchio metodo di guerra: i missili.

Dopo qualche lancio di missili nei giorni scorsi, Hamas ha aumentato il numero di lanci. Dalle 1:35 di venerdì notte fino alle 6:30 di sabato mattina almeno 60 sirene di allarme sono suonate nel sud di Israele. Meno di un’ora di tranquillità ha separato altre 9 ore di lanci ininterrotti di missili a breve e lunga gittata, in parte intercettati dal sistema Iron Dome. Almeno un lancio verso la città di Ashqelon e due nella cittadina di Shderot, uno dei quali ha fatto tre feriti medio-lievi. Un totale di 200 razzi.

Israele ha risposto attaccando postazioni di lancio, tunnel, postazioni di prestazione degli aquiloni incendiari. Tra gli obiettivi colpiti anche un condominio che serviva secondo le fonti dell’esercito alle esercitazioni di Hamas e dal quale partiva uno dei tunnel costruiti dal gruppo terroristico per arrivare in territorio israeliano. Le fonti palestinesi parlano di due minori morti negli attacchi e dieci feriti. L’edificio, secondo Israele, ospitava la biblioteca nazionale, uffici pubblici e case private, ma negli ultimi mesi era usato da Hamas per svolgere esercitazioni di guerra sotterranea, compresa la nuova rete di tunnel che Hamas ha continuato a scavare dalla fine della guerra del 2014. Secondo il Capo di Stato Maggiore Eisenkot, l’operazione è il risultato di un lungo lavoro comune di intelligence e sezioni operative. L’esercito conferma anche di far uso della procedura “early warning”, cioè gli avvisi, telefonici o con fogli lanciati da aerei, ai civili di abbandonare l’area in imminenza di un attacco.

Sabato sera Hamas e Jihad Islamico hanno dichiarato il cessate il fuoco, con almeno quattro missili lanciati durante la notte di cui uno intercettato da Iron Dome.

Secondo Avi Issacharoff (Walla News), ci sarebbero tentativi di negoziazione tra Israele e Egitto condotti dall’inviato ONU Nikolay Mladenov. Tra i vari elementi che rendono la situazione complessa vi sono: l’imprevedibilità dell’operato delle varie fazioni terroristiche a Gaza, gli interessi non chiari di Hamas, l’influenza degli attori esterni.

Un qualsiasi accordo con Hamas prevede la cessazione delle ostilità e il controllo sui movimenti armati. L’inviato del Qatar doveva negoziare un accordo tra Israele e Hamas che comprendeva anche una serie di azioni per affrontare la crisi umanitaria di Gaza. Gli Stati Uniti hanno un piano di ricostruzione, fisica ed economica di Gaza, che non è attuabile poiché Hamas non vuole cedere al disarmo e l’ANP boicotta Trump. Inoltre, il rinnovato rapporto con l’Iran assicura a Hamas fonti e risorse da destinare in gran parte alla lotta armata contro Israele e in piccola parte ad alleviare la popolazione allo stremo sotto le sanzioni di Israele, Egitto e ANP. Infine, la questione non riguarda solo Hamas, ma l’insieme dei gruppi terroristici che operano a Gaza, alcuni dei quali, come Jihad Islamico e altri gruppi salafiti, si oppongono fermamente a qualsiasi accordo con Israele. La capacità di Hamas di controllare questi gruppi sarebbe ora da testare.

L’escalation da Gaza arriva un giorno dopo il caso del drone lanciato dalla Siria in Israele e abbattuto solo dopo 15 minuti di sorvolo nello spazio aereo israeliano e qualche giorno dopo alcuni attacchi contro obiettivi iraniani in Siria attribuiti a Israele.

L’esercito israeliano è pronto a qualsiasi scenario. Solo due mesi fa è stata inaugurata una nuova unità dell’esercito (ancora senza nome) che comprende esperti di vari settori per il rintracciamento, la distruzione e il possibile combattimento nei tunnel sotterranei. I confini settentrionali di Israele sono già da mesi in allerta.

Ogni prospettiva è possibile. Può essere che Hamas voglia semplicemente mandare un messaggio a Israele: meglio gli aquiloni che i missili, meglio spegnere incendi che intercettare razzi. Può esser che sia l’Iran a voler mandare un messaggio a Israele, dopo gli attacchi alle postazioni militari iraniane in Siria: possiamo incominciare una guerra “per procura” quando vogliamo, oppure può esser che l’Iran abbia chiesto a Hamas una prova di forza per maggiori finanziamenti. Può anche esser che Hamas avesse bisogno di rafforzare il controllo sui gruppi terroristici più oltranzisti e sulla popolazione dopo la crisi di potere conseguente alle sanzioni, mostrando i muscoli contro il “nemico sionista”. Infine può esser che il leader di Hamas Yahiya Sinwar abbia usato il lancio di missili per arrivare a un accordo immediato più vantaggioso per la popolazione.

Nonostante si ripeta incessantemente che Hamas non è interessato a una guerra, saranno i passi di Hamas, Jihad Islamico e Iran nelle prossime ore che chiariranno in che direzione spira il vento, se verso una nuova guerra (e contro chi) o un nuovo periodo di calma.

L’offensiva di Hamas prelude ad una nuova guerra o ad una fase di tregua?

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