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Lo scorso anno, l’hacker russo Aleksandr Vinnik è stato arrestato in Grecia sotto un mandato di cattura internazionale alzato dagli Stati Uniti. Era accusato di aver facilitato uno scambio di Bitcoin usati per pagare altri hacker, i quali avrebbero lavorato nell’ambito dell’attacco contro i server del Dnc, ossia il comitato politico dei democratici.

È uno degli hackeraggi su cui si regge l’inchiesta del Russiagate, quella sulle interferenze russe alle presidenziali del 2016, e per questo le agenzie di intelligence americane, e il procuratore speciale che sta conducendo l’indagine per conto del dipartimento di Giustizia, Robert Mueller, ritengono Vinnik un testimone piuttosto importante.

Dopo l’arresto gli americani ne avevano chiesto l’estradizione immediata, ma la Corte Suprema greca ha stabilito che dovrà rientrare a Mosca. La Russia si è messa di traverso (e potrebbe aver sfruttato la sua influenza sulla Grecia per ottenere ciò che voleva). Con una manovra legale, ha fatto in modo di bloccare l’estradizione perché, dice Mosca, Vinnik ha commesso reati informatici anche nel suo paese di cittadinanza, e dunque la giurisprudenza darebbe diritto alla Russia di riprendersi e processare il proprio cittadino.

Il rientro di Vinnik va inquadrato nel contesto generale, partendo innanzitutto dall’inchiesta sulle interferenze russe. Nelle ultime settimane, Mueller sembra stia accelerando e la testimonianza di Vinnik sarebbe certamente stata importante. Ieri è uscito un articolo informato sul New York Times in cui fonti raccontavano che il procuratore ha allentato sul suo progetto di ascoltare anche il presidente come testimone, ma ha comunicato alla squadra di avvocati che difende Trump che potrebbe comunque accettare da lui risposte scritte.

Tema: ci sono stati contatti o collusioni con le azioni russe? Escluso invece il capitolo sugli eventuali intralci alla giustizia, perché è una materia delicata che per il momento il gruppo di procuratori guidati da Mueller preferisce non affrontare direttamente (all’argomento il libro del momento, quello zeppo di rivelazioni sulla Casa Bianca scritto dal giornalista Bob Woodward in uscita nei prossimi giorni, dedica uno spazio interessante: c’è uno degli avvocati di Trump che durante una trattativa per la deposizione del Prez dice a Mueller che non ha intenzione di farlo sedere davanti a lui perché sembrerebbe “un idiota” e tutto il mondo poi si chiederebbe “perché devo parlare con un idiota?” e per altro potrebbe essere accusato di spergiuro e finire “con una tuta arancione”, ossia in galera).

Continuando sull’hacker, c’è il lato Russia. La manovra contro Vinnik è avallata dal diritto, ma è innegabile che in questa fase il livello di controspionaggio a Mosca sia salito di livello. Vinnik, secondo le accuse americane, avrebbe lavorato (non è noto quanto consapevolmente e direttamente) per il team clandestino che i servizi segreti russi utilizzano per le operazioni di cyber-war più spregiudicate. Poteva sapere qualcosa di importante, e per questo i russi lo vogliono tenere a bocca chiusa, a casa.

Qualche settimana fa, alcuni funzionari dell’intelligence americana, hanno raccontato – sempre al New York Times e sempre in forma anonima – che gli 007 americani stanno vivendo una fase critica: non riescono più a tirar fuori informazioni dalle loro fonti in Russia. Molto di quello che le agenzie americane sono riuscite a capire sull’interferenza del 2016 è arrivato da documenti e spifferate ottenute dai rarissimi (e per questo preziosissimi) contatti che la Cia ha a Mosca, ma adesso quelle persone non vogliono più parlare.

Dicono di non sentirsi più sicure, perché le maglie russe si sono strette e ci sono stati segnali chiari di come potrebbe finire per i traditori: il tentato assassinio dell’ex agente del servizio segreto militare, Sergei Skripal, avvelenato con un gas nervino in Inghilterra, era uno di questi messaggi. Il Novichok, l’agente nervino di fabbricazione esclusiva sovietica, doveva servire come firma e avvertimento per tutti coloro che avevano in mente di rivelare segreti sulle attività del Cremlino.

Restando sempre sulla Russia, in più, c’è anche da registrare che questo clima potrebbe essere parte di una stretta sul potere – e contro eventuali dissensi – di cui il presidente Vladimir Putin sente l’esigenza, in un momento in cui il suo consenso è indebolito da una riforma sulle pensioni che mette le mani in tasca ai suoi cittadini, in un quadro generale in cui l’economia russa è in forte difficoltà (a questo si legano per esempio celebrazioni del culto della personalità presidenziale in stile leniniano come il nuovo show televisivo di Rossiya-1 che racconta la vita di Putin).

Tenere Vinnik lontano da eventuali confessioni su costose operazioni di intrusione all’interno del sistema democratico russo è anche una mossa per tenere lontano il presidente da potenziali ulteriori fonti di polemica.

 

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