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Sei un agnello dal piede caprino. Non ho il piede caprino – rispose Togliatti a De Gasperi – ma scarpe normali appena fatte risuolare per apporle in una parte del corpo che non voglio nominare. Questo scambio di battute avveniva nel lontano 1948 a chiusura di una campagna elettorale che abbandonava i toni misurati cui gli elettori erano abituati. La notizia ebbe il suo eco, eco che forse non avrebbe oggi, in cui la misura del tono istituzionale ha notevolmente alzato la sua asticella.

Di questo e molto altro – campagna permanente, disintermediazione, scomparsa dei partiti tradizionali ed eco chamber, ma anche dirette Facebook, tweet storming, foto venute male e scivoloni grammaticali ­– si è parlato al dibattito “Governare e comunicare. Il potere al tempo dei social” in occasione dell’uscita del libro di Edoardo Novelli, “Le campagne elettorali in Italia. Protagonisti, strumenti, teorie”.

A partecipare all’incontro, oltre all’autore del libro, Filippo Ceccarelli de La RepubblicaPaolo Mancini dell’Università di Perugia, lo spin doctor di Matteo Salvini Luca Morisi e l’onorevole Antonio Palmieri, moderati dalla giornalista di La7 Alessandra Sardoni.

Protagonisti dell’incontro, ovviamente, i social network, che secondo gli interlocutori tutti hanno cambiato completamente il modo di fare comunicazione politica. “Ogni campagna elettorale ha introdotto delle novità: prima la televisione poi gli spot, poi Internet. Ma la novità gigantesca è rappresentata da questa campagna, non solo per il risultato, ma soprattutto per il modo in cui è stata condotta”, ha spiegato Mancini. “La principale fonte di notizie per la televisione e i giornali non sono più le agenzie, ma i social”.

Parzialmente in disaccordo, Luca Morisi, che dal carro dei vincitori ha “svelato” la strategia di comunicazione salviniana. “La nostra formula è TRT, ovvero televisione, rete, territorio. Chi ha vinto la campagna elettorale non l’ha vinta solo con la Rete, ma anche con il territorio. La Rete da sola non basta. Il digitale è gratuito, un’email è gratuita, ma la presenza fisica tra le persone ha un costo e Salvini l’ha sempre affiancata all’uso della Rete”. Ma non solo. Come lo stesso Morisi ha confermato, Salvini ha completamente ricostruito “il brand Lega, abbandonando dal punto di vista iconografico e comunicazionale tutta la vecchia simbologia della Lega Nord, fino alle estreme conseguenze di aver trasformato senza sommovimenti un partito che nasce regionale in un partito nazionale”.

Ma uno degli elementi-chiave del successo della Lega, ha detto Morisi, è stata la presenza costante. “Siamo in campagna perenne”, ha ammesso senza mezzi termini. “Devi essere sempre presente in Tv, sulla Rete e sul territorio, senza pause, con il live tweeting, ma anche con gli screenshot e l’integrazione fra i diversi canali”. “Salvini è precursore, in Italia, delle dirette Facebook come strumento di comunicazione politica”.

E se è vero che Salvini sta a Facebook come Trump sta a Twitter, non bisogna però dimenticare i rischi della sovraesposizione, come ha ricordato Ceccarelli: “L’eccesso ha come antidoto il fatto che si fa male da solo. Il troppo stroppia. L’attenzione si consuma”.

Ma il plus di Salvini sembra essere quello di comunicare non solo con costanza, ma sempre in prima persona, in maniera diretta, interloquendo con i suoi elettori, ai quali – sembrerebbe, a quanto dice – rispondere personalmente dal suo cellulare.

Ed è questo l’unico errore commesso da Forza Italia prima e dal Pdl poi, a quanto detto da Antonio Palmieri: “Smettere di comunicare in prima persona, perché l’era in cui viviamo impone il fatto di continuare a comunicare direttamente con i propri sostenitori”. “La campagna permanente l’abbiamo inventata noi”, ha voluto ricordare Palmieri pur autodefinendosi, con ironia, superbo e passatista. “Lo stesso per il Vinci Salvini: nel 2000-2001 facemmo il concorso dei manifesti taroccati e i tre vincitori cenarono ad Arcore”. Lo stesso vale, a quanto detto dal responsabile campagne elettorali Forza Italia, per gli strumenti di democrazia diretta. “Quando guardo Rousseau, piango, perché Forza Silvio l’abbiamo chiusa solo perché non avevamo più i fondi, per cui la piattaforma di democrazia diretta l’avevamo inventata noi”.

Novelli, però, ci tiene a ricordare che non sono solo i mezzi a fare la vittoria di un candidato: “Non vince chi è social. Berlusconi non vinse nel ‘94 perché aveva la Tv, come dicevano in molti, ma perché aveva una visione d’insieme dell’Italia”, ha precisato. A confermare la tesi di Novelli, Paolo Mancini. “Salvini ha una grande capacità di comunicazione – ha fatto notare – ma ha anche certamente scelto un tema sul quale è molto facile identificarsi. Da quando è successo l’eccidio di Macerata, la campagna elettorale è cambiata. Da quel momento in poi Salvini si è appropriato di un tema centrale e unico e questo lo ha favorito notevolmente rispetto a Di Maio. Il tema del salario garantito, del reddito di cittadinanza o il tema di Taranto non sono così unificanti e così divisivi come può essere quello dell’immigrazione. È stato bravo lui a impossessarsene”.

Tornando poi alla campagna elettorale delle ultime elezioni, per ovvi motivi esclusa dal suo volume, Novelli ha commentato: “Sono quattro gli elementi a influire sui mutamenti delle campagne elettorali: la legge elettorale, i soldi che hai a disposizione, i media che utilizzi e lo scenario politico. Il 2018 ha cambiato tutto: è cambiata la legge elettorale, è stata la prima campagna elettorale a budget zero, oltre che prima a non essere giocata prevalentemente sulla televisione. C’è stato poi anche un notevole cambiamento dello scenario politico. Nella Prima Repubblica si sapeva già chi vinceva e si doveva solo capire con quanto, per cui era già tutto definito anche in campagna elettorale; nella Seconda Repubblica o vinceva uno o vinceva l’altro, per cui nascevano i dibattiti, uno contro uno; questa è stata la prima campagna elettorale in cui a vincere potevano essere in tre”, ha concluso.

Non sono mancate, ovviamente, le frecciatine, dirette forse più a Salvini che al suo spin doctor. Il rischio del nuovo tipo di comunicazione, che mette al centro il politico e che lo segue ovunque in stile Grande fratello “è che si diventi retorici, vanitosi, presenzialisti ed esibizionisti”, ha commentato il giornalista de La Repubblica. “Ho un messaggio sul telefonino – ha risposto prontamente Morisi – che mi arriva due volte al giorno. Sii umile, c’è scritto”.

E se non è facile restare umili con 2,7 milioni di mi piace su Facebook (Salvini è il primo politico europeo, seguito da Angela Merkel) e una base elettorale in costante aumento, lo sarà ancora meno quando i mi piace diventeranno 3 milioni: “Questa comunicazione da ministro-capitano (è così che lo spin doctor chiama Salvini) raggiungerà 3 milioni di mi piace su Facebook in meno di un mese”, ha gongolato Morisi.

Il rischio, forse, come si è concluso nella Sala Aldo Moro del Parlamento, è che i politici dimentichino di essere istituzioni prima, e social poi.

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