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Ogni giorno veniamo informati dai media sulle condizioni della nostra società: statistiche che riguardano il lavoro, la disoccupazione, la crescita economica, eccetera. Purtroppo, da più di dieci anni l’indice che segna in modo più negativo il cattivo stato della nostra situazione è quello demografico.

È conveniente, in tal senso, fare una premessa: a partire dagli anni ’80, e poi sempre con maggiore intensità, si è verificata tale decrescita un po’ in tutte le società opulenti occidentali; tanto che si può parlare, a ragion veduta, di un calo fisiologico delle nascite. Inoltre, la variazione del tasso di natalità ha sempre avuto, al pari di quello della mortalità, cambiamenti e andamenti sinusoidali nella storia. Influenzano fattori relativi, miglioramento delle condizioni di vita e salute, epidemie, guerre, eccetera.

Il fatto odierno davvero patologico, piuttosto, è l’assoluto crollo delle nascite segnalato nel nostro Paese. Gli italiani non fanno praticamente più figli, e adesso si cominciano a vedere gli effetti visibili dirompenti di una società in via di estinzione da un decennio abbondante.

Basta attraversare una via del centro di qualsiasi grande città per osservare che il numero degli anziani è enorme, quello delle giovani coppie scarso, quello dei bambini, se si escludono i turisti lì per caso, quasi assente.

Cosa sta succedendo? È veramente un fenomeno irreversibile e definitivo con cui andremo presto a scomparire?

Non è facile rispondere. Un punto è però decisivo. La tendenza negativa sicuramente deriva da molte cause economiche: il costo dei figli, la mancanza di retribuzioni adeguate, una scarsa garanzia alla maternità e alla paternità, e così via. Tuttavia, agganciare e giustificare la nolontà a generare solo su basi materiali risulta essere, alla fine, comparativamente insufficiente.

La demografia cresce nei Paesi poveri dell’Africa, ma cresce anche in Francia, sia pure in modo limitato, è stabile in Germania, mentre crolla tragicamente in Italia. Perché?

Ebbene, un primo motivo è di ordine culturale. L’italiano non considera prioritario scommettere su maternità e paternità, soprattutto da quando l’istituto familiare è stato massicciamente decostruito nei suoi basamenti etici tradizionali. Inoltre, domina una concezione della vita altamente individualista, nella quale le relazioni affettive sono private di ogni principio di affidabilità e nella quale i ruoli maschili e femminili delle persone sono evoluti, trasformati, spesso travisati, in un senso evidentemente controproducente a implementare l’investimento umano di uomini e donne sui bambini.

Da questo punto di vista basti pensare che i nostri ragazzi restano molto al lungo in famiglia, stentano a staccarsi dal nucleo di origine e investono poco e niente nella creazione di un soggetto familiare proprio, che abbia il suo perno nel matrimonio.

Prima di affrontare la questione politica, è doveroso aggiungere un’ultima considerazione di carattere generale. Concepire i rapporti sentimentali in vista della generazione non è soltanto un motivo accidentale, ma costituisce fin dall’inizio la ragione ultima per cui, in un’età valida di giovinezza, si cerca il partner idoneo. Se, invece, come accade adesso, questa finalità è sganciata dalla premessa, l’amore diventa fruizione dell’altro, consumazione di un piacere sessuale momentaneo, e non costruzione di un nucleo relazionale saldato e cementato nella decisione a lungo termine della coppia.

La politica può fare qualcosa per arginare questo flagello? E, ancor più, come si fa a lavorare pubblicamente su uno spazio umano che appartiene alla natura e all’intimità privata delle scelte personali di ciascuno?

La politica, a ben considerare, può fare moltissimo, sostenendo, in primis, con un aggressivo appoggio economico la natalità, rendendola cioè conveniente al bene comune. Tra l’altro, dare sostegno finanziario a famiglie in proporzione al numero dei figli è un investimento e non una semplice spesa, perché solo chi nasce oggi potrà mantenere domani chi invecchierà. Inoltre, ogni bambino che nasce è un nuovo cittadino che viene alla luce: quindi, è di per sé un incremento di forza ed energia reale della società nazionale. In aggiunta, la famiglia è garanzia di trasferimento dei costumi e dei modi di essere della comunità nazionale, oltre che scuola di pedagogia e di senso civico. Perciò avere crescita demografica è avere assicurato il mantenimento in atto della propria identità etica e sociale nel futuro.

La politica, quindi, può e deve intervenire per questo, ma anche per delle ragioni antropologiche perfino più radicali e profonde. La maternità e la paternità completano e realizzano a pieno l’essere persona di ciascuno. La famiglia è base della società ed è scuola di generosità, di cura per l’altro, di impegno educativo. La famiglia ripulisce il singolo da vizi egoistici, da comodità accidiose. In famiglia i genitori devono essere autorevoli manager di una microsocietà che, crescendo, poi permette nel tempo di poter essere più umani e responsabili come cittadini.

Perciò il ricorso al microcredito familiare è un fattore tanto importante, anche se mai abbastanza compreso e valorizzato nel nostro Paese.

L’ultimo fattore che giustifica un impegno della politica a favore di famiglia e natalità appartiene essenzialmente alla sfera antropologica. Il lavoro fa parte di un’operatività volontaria della persona. Chi lavora lo fa nel mondo, costruendo, edificando, vendendo beni spirituali e materiali. Generare fa parte invece di un’operatività naturale della persona, mediante la quale ogni essere umano, insieme ad un altro di sesso diverso, produce almeno un terzo essere umano.

A guidare la natalità è la natura dell’uomo attraverso la volontà di amore dei coniugi. A guidare ogni altra attività è la volontà individuale e collettiva delle persone rivolta verso oggetti esterni e non umani, sebbene necessari al benessere.

Poiché natura e volontà sono entrambe facoltà essenziali dell’uomo, generare stimola il produrre, essendo entrambe espressioni inscindibili della struttura d’essere unitaria della persona.

Attendere che la ricchezza ponga condizioni alla volontà di generare, è fare come il marchese di Münchhausen che voleva volare tirandosi per i capelli. Non tutti possiamo essere ricchi, nessuno di noi sa quanto vivrà e come morirà, ma tutti possiamo generare nuova vita da amare. Quindi bisogna partire dall’amore e dalla famiglia per impegnarsi parallelamente nel lavoro, per gli anni di attività che ci sono concessi dalla vita, sapendo che non saremo soli quando non saremo più autosufficienti.

La politica, in definitiva, deve agire subito e in modo prioritario a favore della crescita demografica, sia con sostanziali aiuti economici e sia con una cultura positiva e autentica a favore della vita, un impegno per il bene comune che sia in grado di guardare non solo all’utilitaria volontà individuale, ma anche all’essenza stessa della natura umana nel suo insieme.

demografico

Perché serve una reazione politica al crollo demografico

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