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Alla fine, dietro, ci sono sempre loro. Gli hedge fund, grandi fondi di investimento dotati di una potenza di fuoco di svariati miliardi di euro in grado di portare a termine anche robusti investimenti in titoli di Stato italiani. In ultima istanza, di influenzare l’andamento dello spread. Ora, mentre l’Italia è alle prese col nervosismo dei mercati (qui l’intervista odierna all’economista Paolo Garonna), che non sembrano apprezzare troppo la manovra gialloverde, gli hedge fund sembrano battere lentamente in ritirata.

Il che, di per sé, è un gran bel guaio. Se non altro perché la lista dei compratori di debito italiani perde un elemento pesante, quello dei grandi fondi statunitensi. Attenzione però, un momentaneo ripiegamento non corrisponde necessariamente a una resa incondizionata dei fondi sul debito italiano. Tutt’al più a una pausa di riflessione in attesa del da farsi. Già, ma in attesa di cosa precisamente? Una risposta l’ha provata a dare Unicredit, in un report diffuso questa mattina dal capo economista Erik Nielsen.

Se lo spread sale è perché qualcuno chiede più interessi per comprare Btp. Dunque, siamo dinnanzi a un cambiamento delle posizioni di investitori istituzionali ed hedge fund. Ebbene sì. A maggio, per esempio, quando la bozza del contratto di governo già circolava, si era registrata una repentina fuga di hedge fund dal mercato del debito italiano, mentre ad agosto erano stati gli istituzionali, spaventati dalla volatilità, ad alleggerire le posizioni verso i titoli italiani. Adesso però a tenere lontani i grandi fondi c’è un’altra variabile: il timore legato alle scelte delle agenzie di rating, che dovranno pronunciarsi nelle prossime settimane. Il pericolo di un downgrade congiunto, a cominciare da Standard&Poor’s, il cui giudizio è atteso per il prossimo 26 ottobre.

Nielsen nel report avverte che la decisione delle agenzie dipenderà da due fattori. “Ufficialmente dalla bozza di bilancio e dalle stime presentate dal governo per il 2020-2021, che avranno un ruolo importante nella scelta. Se la storia è una guida, se lo spread continua ad allargare allora le tre maggiori agenzie di rating si allineeranno con un downgrade dell’Italia”, avverte. Dunque una catena a monte della quale ci sono proprio le sorelle del rating (Fitch, S&P e Moody’s). Se arriva il downgrade gli hedge dichiarano definitivamente forfait e se dichiarano forfait lo spread sale ancora di più perché bisogna alzare la posta per garantirsi finanziatori di debito.

E cosa accadrà in queste settimane prima del 26 ottobre dipende ancora una volta dalle scelte degli hedge, se decidono o meno di mantenersi lontani, come oggi o tentare degli acquisti in attesa di S&P. Ci sono però altre variabili. Nielsen avverte per esempio che le loro mosse non dipenderanno solo dalle scelte di Roma, ma saranno anche influenzate da ciò che sta accadendo nei mercati globali. “Se la comunità hedge continuasse ad avere preoccupazione sugli asset rischiosi nei mercati emergenti e a soffrire a causa del dollaro e dei rendimenti in rialzo, allora il loro appetito per il rischio per posizioni nel mercato dei Btp sarà difficilmente solleticato”.

Il capo economista Unicredit ricorda che Roma può dare messaggi che influiscano sulle scelte dei fondi. “Dopo cinque mesi di governo il giudizio degli investitori istituzionali è diventato underweight e la comunità del denaro veloce come gli hedge fund se ne sono andati e stanno decidendo se tornare per comprare, vendere allo scoperto o tenersi alla larga”. E questo per un solo vero motivo:  “In Italia il documento finanziario del governo (il Def, ndr) e la comunicazione disordinata continua a creare problemi sul mercato. Ma gli investitori sembrano confusi e i mercati non stanno lanciando segnali chiari”.

Occhio al rating. Gli hedge fund ed il report di Unicredit

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