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Il magazine dell’Associazione Italiana per la Direzione del Personale mi ha chiesto quest’articolo:
http://www.aidp.it/hronline/2018/4/7/a-scuola-di-management-da-napoleone.php

Guerre, battaglie e strategie sono temi su cui spesso la letteratura manageriale è andata ad attingere a personaggi della storia, sia antica che più recente, per ricavare indicazioni e modelli utili per il manager di oggi: da Sun Tzu a Carl von Clausewitz a Machiavelli, solo per fare qualche esempio. Meno battuto è forse il tema della comunicazione: un interessante angolo di visuale viene proposto da Roberto Race nel suo volume “Napoleone il Comunicatore” (Egea) in cui si sofferma su diversi aspetti della strategia comunicativa del condottiero Corso che potrebbero essere di utile ispirazione ai manager e ai temporary manager di oggi. Abbiamo chiesto all’Autore di sintetizzare in questo articolo gli elementi di spicco dell’approccio strategico di Napoleone

Per Hegel Napoleone è stata una di quelle figure che ha impersonificato il progresso dello Spirito del mondo nella storia del suo tempo. In effetti, Napoleone ha non solo precorso i tempima ne ha agevolato l’evoluzione.

La sua lezione è utile anche per i manager della nostra epoca. L’immagine, i valori intangibili, sono concetti declinati puntualmente oggi, quando si parla di patrimonio aziendale in senso lato. A cavallo tra settecento e ottocento, trovarono nel Corso uno strepitoso propugnatore. Nel terzo millennio si può guardare con un sorriso alle diavolerie inventate dal Bonaparte, dalla N all’aquila imperiale, agli stessi quadri d’autore. Uno per tutti: il valico a cavallo del Gran San Bernardo di Jacques-Louis David è diventato l’emblema della seconda vittoriosa campagna d’Italia. Nei suoi contemporanei, il sorriso dei millennials lasciava posto a stupore e ammirazione, come capita a chiunque si trovi al cospetto di una straordinaria innovazione di cui percepisce l’essenza prima ancora di averla pienamente compresa.

Anticipare e guidare i tempi è prerogativa del grande manager. Nel caso di specie, parliamo dell’invenzione del brand, del marchio al servizio di un’idea. Icone che spesso erano funzionali ad accrescere il culto della personalità.
Ma facciamo attenzione, su questo punto! La cura di sé, attestata sotto diversi profili dalla capacità di autopromozionarsi di Napoleone, non serviva a segnare distanze incolmabili. Napoleone, più che un dio, voleva essere un supereroe, impegnato continuamente a coinvolgere e a motivare i suoi collaboratori.

Prima di lui, l’esercito era solo carne da macello. Con lui, nei fatti, purtroppo, restò tale, ma nobilitata da prestigio e onori, dall’introduzione della meritocrazia e da qualche prebenda, da promozioni sul campo guadagnate anche da chi non poteva vantare natali illustri, e a volte nemmeno confessabili. Napoleone dialogava concretamente con i suoi soldati. Con i riconoscimenti, come in senso letterale. La sua passeggiata in mezzo alle truppe prima del trionfo di Austerlitz, l’assicurazione che in caso di difficoltà l’avrebbero visto in prima fila a combattere, si tradusse in un messaggio semplice ma carismatico: “Ricordate che sarò sempre uno di voi”.
Leadership inclusiva, che si manifestava anche nella gestione del potere istituzionale. Dall’attenzione alla cultura, alle chiacchiere tra la folla, financo con le vecchiette; dalla codificazione del diritto, alla modernizzazione della formazione di base. Napoleone non fu solo l’affossatore della rivoluzione, ne fu anche il realistico interprete. Lo stato borghese nacque con lui, all’insegna del diritto e della capacità di motivare, coinvolgere e fidelizzare.

Come statista, Napoleone offre un esempio eclatante di quanto rilevi la vision, che si tratti di un Paese o di un gruppo aziendale (e di chi è chiamato a guidarlo). Da Primo Console, elaborò un piano, poi portato a buon fine, per il risanamento finanziario in cinque anni dei trentaseimila comuni francesi. Definì poi un obiettivo a dieci anni, entro i quali tutti i comuni avrebbero dovuto portarsi in attivo. Utilizzò indicatori puntuali per controllare gli step.
Se un manager non sempre può ‘creare’ la vision, deve tuttavia comprenderla e articolarla: l’unico modo per poterla comunicare a collaboratori e stakeholder e renderla così attuabile.

Ma chi guida deve rifuggire dal genericismo e dalla superficialità. Deve dunque accomunare alla capacità prospettica la cura del dettaglio, se essenziale per il perseguimento delle sue strategie e la messa in atto dei suoi programmi. La tipica giornata di Napoleone, fatta di lettura della posta, valutazioni dei problemi, sessioni di verifica, esame di appunti e rapporti, decisioni su quali azioni compiere, non è dissimile da quella di un moderno manager e rappresenta un buon modello da seguire.

Prima di ogni battaglia, Napoleone analizzava il terreno, si documentava sugli scontri avvenuti nella stessa area o con gli stessi generali in passato, esaminava ogni possibile rischio, svantaggio o pericolo.
Pianificava, ma aveva coscienza anche della necessità di riprogettare continuamente le proprie attività, nel governare l’impero come nelle campagne di guerra
L’informazione puntuale, del resto, favorisce la flessibilità, altra arma vincente dell’impresa moderna. Napoleone sosteneva che non vi sono regole semplici e infallibili. Ogni cosa dipende dai piani del generale di turno, dalla condizione in cui si trovano le sue truppe, dalla stagione in cui si combatte e da migliaia di altre circostanze. Considerazioni valide per il campo di battaglia, ma tenute in considerazione anche nella gestione delle sue relazioni istituzionali.

Altro insegnamento del Corso, di incredibile preveggenza, sta nell’importanza della comunicazione in tempo reale e della connessione tra le truppe della Grande Armée. La campagna di Ulm fu vinta da Napoleone grazie anche alla comunicazione frequente e sistematica, che teneva costantemente informati i comandanti di tutti i corpi, con Bonaparte che chiedeva di ora in ora dispacci aggiornati ai suoi sottoposti.

Ma non fu solo un successo di comunicazione. Proprio ad Ulm, Napoleone diede dimostrazione di quanto strategica sia la velocità di esecuzione, altro must delle imprese del nuovo millennio, alle prese con la rivoluzione 4.0 e la conseguente necessità di adeguarsi rapidamente ai cambiamenti di scenario indotti da un’evoluzione tecnologica che, con l’intelligenza artificiale, tende a trasformarsi in antropologica. Durante la campagna di Ulm, la Grande Armée marciò a tappe forzate per circa 24 km al giorno, raggiungendo il Reno in meno di sei settimane. Per ridurre le resistenze, Napoleone negoziò accordi con importanti stakeholder come la Baviera e la Prussia, assicurandosi che sarebbero stati partner e non ostacoli. Pragmatismo e rapidità si coniugavano con la coscienza dell’importanza di attrezzature (oggi leggasi: tecnologie) all’altezza dei tempi. Napoleone, al contrario di suoi precursori e contemporanei, si assicurava che le sue truppe si trovassero nelle condizioni migliori: indumenti, equipaggiamento, addestramento.
C’è tanto da imparare ancora oggi, dunque, dall’Imperatore. Perfino il modo in cui, sconfitto, contribuì alla sua glorificazione postuma, dettando le Memorie a Las Cases.

D’altra parte, se la sua eredità non fosse così attuale, non si spiegherebbe la persistente diffusione del mito napoleonico in tutto il mondo, dai plastici che ripercorrono Waterloo all’oggettistica multiforme che continua a eternarlo. Un lascito che può insegnare qualcosa anche a chi guida i moderni eserciti dell’innovazione.

Roberto Race, Corporate strategy advisor – Communication advisor

A scuola di management da Napoleone

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