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E se la Francia invertisse il senso di rotta in Libia e, partecipando alla prossima conferenza programmatica di Roma, iniziasse a valutare la posizione italiana (e non solo) sul ruolo da adottare nel Paese? Potrebbe accadere. O meglio, starebbe accadendo. La piattaforma online Libya Security Studies ha pubblicato la notizia dell’interesse – insieme alla probabile partecipazione – espresso da Parigi nei confronti della conferenza internazionale che si svolgerà nella capitale italiana il 10 novembre. Un segnale che lascia intravedere uno spiraglio di luce nei rapporti tra Francia e Italia, e che Arturo Parisi, già ministro della Difesa del governo Prodi, contattato da Formiche.net, commenta così: “Meglio di niente. Mi sembra un segnale di un cambiamento possibile, più che un segno di un cambiamento in corso”.

Anche se, appunto, sottolinea Parisi, quello francese sembra più “un messaggio ad Haftar della scontentezza francese nei suoi confronti, più che una vera apertura verso l’Italia. Ripeto, meglio di niente. Ma non mi faccio illusioni. Penso che il cambiamento del piano francese sulla Libia riguardi al momento i tempi e i modi, ma non ancora i fini”.

Nel frattempo, anche Mariangela Zappia, nuova ambasciatrice italiana all’Onu, in un’intervista a La Stampa ribadisce la posizione portata avanti dall’Italia, che insieme con l’inviato speciale delle Nazioni Unite Ghassan Salamè, appoggia il governo tripolino di Al Serraj: “In Libia non ci sono le condizioni per tenere le elezioni a dicembre. Il momento verrà, ma dovranno deciderlo i libici. La conferenza che stiamo organizzando avrà proprio lo scopo di creare il contesto più inclusivo possibile”.

E se Emmanuel Macron continua a portare avanti il vessillo delle votazioni di dicembre, appoggiando ormai apertamente il generale Khalifa Haftar, l’ambasciatrice mette in chiaro una questione fondamentale, non dimenticando neppure di sottolineare l’approfondita conoscenza del territorio libico che l’Italia ha dimostrato ormai da tempo. “Forse c’è un modo diverso di vedere le cose, magari perché noi conosciamo la Libia più approfonditamente, e pensiamo che sia necessario dare ai libici il tempo per strutturarsi. Una spinta da fuori per mettere insieme gli attori, come ha fatto la Francia a Parigi, può essere utile, però alla fine sono i libici che devono decidere. E tutti. A Parigi ce n’erano quattro rilevanti, ma non completamente rappresentativi del contesto libico”, ha affermato sempre a La Stampa, Zappia.

Stabilizzazione dunque, ma anche coscienza del ruolo di leadership che la penisola italiana ha ormai consolidato in Libia, anche grazie al riconoscimento fornitogli dagli Usa. La conferenza di Roma stabilisce un punto di partenza importante, e sarebbe certamente utile, in questo contesto, ammorbidire i toni con i francesi, venendosi incontro per il bene della stabilizzazione della regione libica. Probabilmente, dal punto di vista italiano, anche per non mettere a rischio la consolidata funzione di primo piano del Paese. Arturo Parisi, però, su questo punto resta scettico: “Molto dipende da noi. Di certo lo stato attuale del rapporto tra i governi dei due Paesi non è d’aiuto. Ammesso che i francesi cedano alla tentazione di venirci incontro, di certo questo non è il momento migliore”.

Comunque, gli scontri nel Paese non accennano a diminuire, è stato infatti dichiarato lo stato di emergenza a Tripoli, con l’avanzata della Settima Brigata, anche se continuano a susseguirsi gli appelli per il cessate il fuoco, restando per lo più inutili. La comunità internazionale in allarme rilascia comunicati di monito, con il tentativo di una mediazione che in questo momento appare quantomeno lontana.

Le milizie di Haftar poi se la prendono direttamente con gli italiani. E la Francia, d’altro canto, non fa altro che gettare benzina sul fuoco. Anche la sede dell’ambasciata d’Italia è stata quasi colpita ieri da un missile, fortunatamente senza conseguenze. E poi ancora il tentativo di destabilizzazione da parte diParigi, attraverso l’annuncio (smentito dalla Farnesina) di un’imminente sostituzione dell’ambasciatore Giuseppe Perrone. Il capo della diplomazia italiana a Tripoli è, in realtà, bisogna ricordarlo, un punto di contatto fondamentale, essenziale, per il percorso di costruzione del dialogo che le autorità italiane stanno compiendo nel Paese. L’ambasciata, infatti, nonostante gli scontri ai massimi livelli, “resta aperta. Continuiamo a sostenere l’amata popolazione di Tripoli in questo difficile momento”, ha scritto su Twitter la sede della diplomazia italiana, mettendo a tacere alcune voci sulla chiusura della stessa e la fuga dei responsabili.

Andrea Armaro, esperto di Libia e già portavoce del ministro della Difesa Roberta Pinotti in una conversazione con Formiche.net: “La grave crisi che sta attraversando la Libia ci dice che quanto fatto fin’ora dall’Onu e dai paesi presenti è insufficiente. Non c’è una iniziativa politica di coordinamento e quel poco che si fa rischia di essere vissuto dalle molte milizie libiche come di parte, una volta a favore del governo di Al Serraj, riconosciuto dalla Comunità internazionale, ma evidentemente debole, una volta a favore di Haftar, non riconosciuto, ma interlocutore ritenuto importante”.

E ancora: “Questo vuoto non è colmato né dall’Europa né dai singoli Paesi che pensano di svolgere un ruolo, mi riferisco all’Italia, alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti e alla Francia. Quest’ultimo addirittura si muove spesso in contrasto all’Italia. Per non parlare poi di quel che fanno l’Egitto, il Qatar, la Turchia, l’Iran, la Russia. Insomma troppo soggetti in campo guidati dai propri interessi. Senza perciò un’azione comune vera, forte, inclusiva ed incisiva dell’Onu, insieme ai libici, si rischia di non chiudere mai la vicenda libica e di aver prima o poi un altro Aghanistan nel Mediterraneo”, ha aggiunto Armaro.

Sulla posizione di attore privilegiato che Roma ha acquisito con il governo riconosciuto di Tripoli, l’esperto afferma: “L’Italia certamente conosce meglio di altri il paese e fa bene ad esprimere le proprie perplessità circa le elezioni fissate dalla Francia per il 10 dicembre (non ci sono le condizioni) ma allo stesso tempo deve essere consapevole che promuovere una conferenza per coinvolgere tutti i soggetti locali riconosciuti non è sufficiente di per se per stabilizzare il paese”.

In conclusione, in una prospettiva futura, Armaro, vede “sensato che il Parlamento si ponga la domanda su quale sia il senso della presenza di circa 300 militari ed un ospedale ormai da tempo sottoutilizzato a Misurata”.

 

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