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Sulla Francia è calata nuovamente la cappa della paura. L’Isis si è rifatto brutalmente vivo venerdì mattina con l’attentato a Trébes, nel Sud del Paese, presso Carcassonne, gioiello medievale dove il terrorista ventiseienne Redouanne Lakdim ha ucciso tre ostaggi in un supermercato per poi essere ammazzato da un blitz delle “teste di cuoio”. Erano mesi, dal 1 ottobre 2017, che non si registrava sul suolo francese un attacco islamista: quel giorno a Marsiglia, per mano di un giovane tunisino, vennero assassinate due donne nella stazione ferroviaria. Nei mesi successivi, al governo Macron sembrò plausibile revocare le misure speciali antiterrorismo che dalla strage al Charlie Hebdo a quella del Bataclan erano in vigore. I risultati non hanno tardato a manifestarsi.

I francesi, sono certamente impauriti, ma hanno anche i nervi a fior di pelle. Constatano che l’inversione radicale di tendenza politica e sociale dopo l’ascesa di Macron non c’è stata. È vero: è passato poco tempo, ma neppure una delle riforme annunciate al neo-presidente è stata attuata. Delusione e rabbia, mentre all’inquilino dell’Eliseo ormai tutti imputano una grandeur cartapesta. Vertici internazionali faraonici nei luoghi istituzionali e storici più sfarzosi, costi lievitati per la gestione della presidenza, perfino il maquillage a cui ricorre non è molto apprezzato, mentre la politica estera, in continuità con quella di Sarkozy e di Hollande, sembra essere il suo campo preferito abbandonando all’ordinaria amministrazione la gestione interna, gli affari correnti insomma.

copertinaCuriosamente (e tragicamente) il giorno prima dei fatti sanguinosi di Trébes, il settimanale moderato Marianne è uscito con la copertina che ritrae Macron come una sorta di caricatura di un condottiero ed il servizio interno è tutt’altro che tenero nel descrivere le défaillance del presidente che registra un costante calo di gradimento nell’opinione pubblica: l’ultimo sondaggio lo dà al 40%, una stima poco lusinghiera a meno di un anno dall’elezione.

Per di più, gli analisti segnalano un maggiore impoverimento della classe media (quella che lo ha massicciamente votato), mentre i lavoratori subiscono le “minacce” contenute in alcune riforme. I ferrovieri, in queste settimane sono sul piede di guerra, e la manifestazione di giovedì scorso tra place de la République e la Bastiglia ha registrato momenti di grave tensione tra operai particolarmente agguerriti e forze dell’ordine. Sotto i nostri occhi abbiamo visto distruggere due filiali bancarie in Boulevard Beaumarchais, a due passi da Place des Vosges, le cui porte, vetrine e servizi bancomat sono andati letteralmente in frantumi sono i colpi di estremisti che poco o nulla avevano a che fare con i veri manifestanti: sui muri sono riapparse scritte inusitatamente violente, mai viste negli ultimi anni.

Errori? Si dice che Macron ne abbia commessi tanti. Nessun presidente è stato così improvvidamente “decisionista” da mettere in discussione diritti acquisiti senza concordare una linea d’azione con le parti sociali anche se è più che giusto ridiscutere i privilegi dei ferrovieri, come di altre categorie, che possono andare, a vario titolo, in pensione tra i cinquanta ed i cinquantasette anni. La cancellazione dell’assurdo privilegio, voluto dai socialisti e mantenuto dai gollisti, potrebbe e dovrebbe essere progressivo: all’Eliseo e a Matignon non possono pensare di tracciare con un tratto di penna un nuovo statuto senza pagarne le conseguenze. Chi sarà costretto a ritirarsi come vivrà? E le pensioni per tutti chi le pagherà? Ecco le angosce dei lavoratori e le ansie della classe media. Il “bonapartismo” presidenziale sta distruggendo il sogno di Macron, più a suo agio a Bruxelles, Francoforte e Berlino che a Parigi, dove, come nelle altre città francesi, il tema della sicurezza tiene in apprensione i cittadini. Unitamente a quello dell’immigrazione: l’ultima polemica verte sulla costituzione di comunità separate (di ispirazione soprattutto islamiche). Insomma, un modo di essere nella nazione, senza appartenervi. Un tema sottovalutato, ma destinato ad esplodere e a creare nuove tensioni.

Per quanto goda di una straripante maggioranza parlamentare, il movimento En Marche (pour la République), non sembra in grado – forse per inesperienza, forse per contraddizioni e dissidi interni – attuare quel programma che Macron faceva vedere come già realizzato al momento del suo insediamento. Per quanto intelligenti e dotati di buone e relazioni, oltre che di un credito lucrato sull’incapacità altrui, politici di rango non ci si improvvisa. A meno che non si ricorra alla virtù dell’umiltà, ma nella biografia di Macron questa dote non è dato riscontarla.

Se il malessere francese è diffuso, non sta certo meglio la capitale. Parigi, secondo uno studio britannico condotto dall’Economist Intelligence Unit, è la seconda città più cara del mondo, dopo Singapore. New York è in terza posizione, a seguire Londra e Tokyo. Parigi è la prima città della “zona euro” tra le dieci città più care. Il che non significa soltanto ristoranti, alberghi e negozi quasi proibitivi per i turisti, ma anche servizi inadeguati per la progressiva lievitazione dei costi. Il sindaco di Parigi, la socialista Anne Hidalgo, finge di non ricordare che al momento delle elezioni promise di abbassare le tasse comunali e mestamente ammette che L’ indebitamento municipale passerà da 4,6 miliardi di euro del 2015 a 7/8 miliardi previsti nel 2020, tra due anni: un aumento di oltre il 70%. Il che vuol dire che la taxe d’abitation – una delle più odiate – lieviterà nei prossimi mesi prevedibilmente tra il 20 ed il 60%. La denuncia dell’insostenibile rapporto tra la qualità della vita ed i costi è ormai generale. E, nello stesso tempo, la decadenza della città si tocca con mano.

Insomma, se agricoltori, artigiani, imprenditori, intellettuali, studenti e famiglie sono scontenti della “vita francese” dove, sembra, soltanto la Metropolitana sua rimasta quale inattaccabile mito, un motivo deve pur esserci.

Le classi dirigenti presenti e del recente passato sono sotto accusa. La corruzione, già emersa durante la campagna elettorale e nuovamente rimbalzata con il “caso Sarkozy”, è diventata pressoché endemica. Si dice che il Paese sia politicamente stabile, ma socialmente irrequieto: è la foto di una Francia che ha scelto, con Macron, di darsi un po’ di belletto sul piano internazionale per nascondere le magagne interne. Ed anche il sistema politico traballa. Basta dare uno sguardo a ciò che sta avvenendo nei partiti politici tradizionali: soltanto En Marche! sembra immune, almeno per ora, da scossoni. Ma qualcuno dice che basta avere un po’ di pazienza per vedere che fine farà. Quel 40% del leader, a detta di molti osservatori, potrebbe dimezzarsi in pochi mesi. Allora sì che comincerebbe il grande ballo dell’Eliseo, sempre che si riescano a trovare dei danzatori in grado di reggere la musica che diventa di giorno in giorno più frenetica. L’andante mosso di Macron è già passato di moda, insomma. Si torna al can can?

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