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Qual è la posizione italiana ed europea sulle nuove frizioni fra Israele e Palestina innescate dalla decisione di Donald Trump di trasferire l’ambasciata statunitense a Gerusalemme? Come può l’Unione Europea confrontarsi e dialogare con la Russia di Vladimir Putin in Medio Oriente, ormai padrona incontrastata della regione assieme all’Iran? Queste alcune delle domande cui Fabrizio Cicchitto, presidente della Commissione Affari Esteri della Camera dei Deputati, ha risposto in questa conversazione con Formiche.net, in cui ha voluto dare la versione italiana dei subbugli in Medio Oriente.

Presidente, il trasferimento dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme annunciato da Donald Trump è una minaccia allo status quo o un suo riconoscimento?

Fondamentalmente è una minaccia. Io sono filo-israeliano, ma reputo che la mossa di Trump complichi maledettamente la vita a Israele. La sistemazione di Gerusalemme è un tassello fondamentale di una trattativa e di un’eventuale intesa. Israele è una nazione con un altissimo sviluppo economico e ha tutto l’interesse a una situazione di relativa tranquillità nella regione.

Le violente reazioni in Medio Oriente danno torto a Trump?

La vicenda palestinese era molto marginalizzata, ora con il gesto unilaterale Trump ha agitato un drappo rosso davanti agli occhi di Hamas e agli altri fondamentalisti. È da condannare una parte della protesta palestinese che si è presto trasformata in una guerriglia urbana, animata da pulsioni terroristiche che provengono da Hamas. Ma la decisione di Trump resta un grave errore, perché mina la credibilità degli Usa come mediatori nel Medio Oriente, e consegna a Putin un ulteriore spazio di manovra, in aggiunta a quanto fatto da Obama.

Netanyahu è stato accolto a Bruxelles con particolare freddezza, ed è tornato a Tel Aviv con la certezza di non avere l’Ue dalla sua parte. Esiste un pregiudizio anti-israeliano in Europa?

Un pregiudizio del genere è certamente presente in Europa, e va combattuto. Sono molto preoccupato che Israele, unica nazione democratica in Medio Oriente, si ritrovi in una situazione di isolamento. Ma è indubbio che il governo di Tel Aviv abbia commesso grossolani errori di politica estera. La sistemazione di Gerusalemme doveva essere l’ultima carta da distribuire, e solo dopo che si fosse aperta una trattativa, uno scenario che era ben lontano dal realizzarsi. È comunque più comprensibile quanto ha dichiarato Israele su Gerusalemme rispetto all’errore commesso dall’amministrazione Trump.

L’Europa ha duramente condannato la scelta di Trump di de-certificare l’accordo sul nucleare con Teheran. Secondo lei si può essere al tempo stesso filo-iraniani e filo-israeliani?

Non si può essere filo-iraniani. Quanto all’accordo sul nucleare non ho un atteggiamento pregiudizialmente contrario. Allo stato attuale ha il merito di garantire l’impegno dell’Iran sull’uso pacifico dei giacimenti, credo sia stata una buona soluzione in partenza. Certo, dopo il deterioramento dei rapporti con l’amministrazione americana, se in Iran non emerge una nuova forza politica che rassicuri gli investitori la situazione rischia di divenire pesante.

Le frizioni fra Washington e Bruxelles su Gerusalemme sono l’ennesima prova di un allontanamento degli Stati Uniti dal Vecchio Continente. Alle condizioni attuali, lei ritiene credibile una politica estera autonoma per l’Unione Europea?

Tra la politica imperiale della Russia e la erraticità della posizione degli Stati Uniti c’è lo spazio per una politica estera seria, che non rinneghi il passato e che si misuri con le nuove sfide geopolitiche. Il problema è che non viene utilizzata o viene utilizzata male.

Ad esempio?

Ad esempio c’è stato criticismo sui rapporti fra Ue e Stati Uniti e governo iraniano. Per un verso c’è stata una trattativa (giusta) sul nucleare, ma nello stesso tempo gli iraniani hanno goduto del sostegno incondizionato della Russia nello scontro contro l’Isis e i ribelli siriani, mentre gli Stati Uniti non hanno offerto un analogo intervento. Una situazione asimmetrica che rischia di dare agli sciiti un rilancio eccessivo sotto l’egida dell’Iran.

Si parla da qualche mese di un rilancio di una difesa europea comune, ma fino ad oggi non si è andati oltre ai reflection papers e alle dichiarazioni di intenti..

Per un verso sono scettico. Ma è indubbio che ci sia la necessità di una politica di difesa comune. Stiamo assistendo a un eccesso di politica imperialistica della Russia e un crollo dell’ambizione di governare il mondo da parte degli Stati Uniti. C’è spazio per un’Europa come forza terza che riesca a dare rassicurazioni al mondo sunnita e contenere un eccesso di iniziativa degli sciiti, proteggendo al contempo Israele dalle minacce esterne.

Come può l’Unione Europea ricoprire un ruolo di mediazione in Medio Oriente se permangono dinamiche da Guerra Fredda con la Russia?

Queste dinamiche sono dovute a una linea russa di assoluta spregiudicatezza, perché Putin ha saputo cogliere gli Stati Uniti in una fase di incertezza nella gestione di politica estera. L’azione russa rientra nella logica di una politica di potenza che sfrutta in tutti i modi un multiculturalismo che gli Stati Uniti hanno contribuito ad edificare e che ora stanno abbandonando.

Le sanzioni economiche imposte dall’Ue sul Cremlino hanno funzionato?

Sul piano economico hanno avuto una loro efficacia, ma non sul terreno politico. Il disegno di Putin sulla Russia continua infatti ad essere imperiale, anche grazie a un uso di armi improprie nel mondo occidentale che con il tempo sta emergendo, a partire dalle ingerenze nelle elezioni americane fino alle altre elezioni europee di quest’anno.

Ritiene credibili i moniti di Joe Biden sull’interferenza russa alle prossime elezioni italiane?

Senz’altro possono essere strumentalizzati. Ma il fatto che un uomo come Joe Biden, che è estremamente misurato nelle sue espressioni ed è stato un candidato potenziale alla Casa Bianca, metta le mani avanti su questa tematica, è motivo di profonda preoccupazione.

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