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Domenica il ministro dell’Energia israeliano, Yuval Steinitz, è stato il primo funzionario del gabinetto di governo a rivelare apertamente che Gerusalemme e Riad si parlano in funzione anti-Iran. Questo coordinamento è destinato a segnare i futuri equilibri nella regione più turbolenta del mondo, il Medio Oriente, con potenziali ricadute globali; vedere per esempio la mediazione francese sulle dimissioni del primo ministro libanese, vicenda che si allinea all’interno di questa scia di polarizzazione che vede Israele e gli stati sunniti del Golfo – capitanati dai sauditi – contro l’Iran e i satelliti regionali della repubblica sciita.

CONTTATTI E CONDIVISIONI STRATEGICHE

Intervistato dalla radio dell’esercito, alla domanda perché questi contatti finora erano stati tenuti segreti, Steinitz ha ricordato che formalmente i due paesi non hanno relazioni diplomatiche (c’è enorme distanza culturale tra il paese che conserva i luoghi sacri islamici e lo stato ebraico, formalmente sfociata nella questione palestinese) e ha aggiunto: “Abbiamo legami che sono in effetti parzialmente coperti con molti paesi musulmani e arabi, e di solito [noi siamo] la parte che non si vergogna. È l’altra parte che è interessata a mantenere i legami tranquilli. Con noi, di solito, non c’è alcun problema, ma rispettiamo il desiderio dell’altro lato”, però ha sottolineato che “i legami si stanno sviluppando, sia con l’Arabia Saudita che con altri paesi arabi o altri paesi musulmani, e c’è molto di più, [ma] noi li teniamo segreti”. O tenevamo, forse. La scorsa settimana il capo delle forze armate israeliane, il potentissimo generale Gadi Eisenkot, si è fatto intervistare da un sito d’informazione saudita (abbastanza) indipendente con base a Londra e ha proposto l’inizio di una condivisione di informazioni di intelligence tra Riad e Gerusalemme con l’obiettivo di contrastare l’espansionismo di Teheran, nemico esistenziale comune. Questo genere di dichiarazioni non escono da un sistema di governo come quello israeliano senza un coordinamento ai massimi vertici, e dunque le parole del generale sono spin politico internazionale.

LA BENEDIZIONE SULLA PARTNERSHIP

Questa partnership diventa ancora più interessante se si pensa che il collante tra i due mondi finora (in realtà i contatti sono iniziati da anni) distanti è Washington. L’amministrazione Trump, anche per segnare un’altra discontinuità col predecessore, ha ristretto i rapporti con i due alleati storici nella regione, precedentemente raffreddati dalla spinta propulsiva che Barack Obama diede all’accordo sul nucleare iraniano (che la Casa Bianca, appunto, ha deciso di decertificare poche settimane fa). Ora i più alti funzionari della Casa Bianca, come Jared Kushner, hanno costruito rapporti personali con le autorità israeliane e soprattutto vanno e vengono dalle corti del Golfo, principalmente quelle di Riad e Abu Dhabi, dove regnano due capi di stato giovani con la volontà esplicita di schiacciare politicamente l’Iran. Una visione condivisa anche dall’amministrazione americana. Teheran è il fulcro del Medio Oriente post-Califfato in costruzione, perché ha accumulato crediti in Siria, difendendo il regime di Damasco durante la guerra civile, anche attraverso il suo più affilato elemento di politica estera, le milizie-partito sciite mobilitate da (e su) tutta la regione.

IL CONTESTO REGIONALE

Quelle che hanno conquistato un ruolo di primo piano a Damasco col beneplacito russo, hanno lo stesso imprinting politico-ideologico della altre che hanno già potere a Beirut e Baghdad; e non va dimenticato che gli iraniani giocano un ruolo nella rivolta in Yemen, proiettando la loro presenza/influenza in tutta l’area mediorientale. “Dal Golfo Persico al Mar Rosso e dal Libano all’Iran”, Teheran sta “cercando di prendere il controllo della regione”, con la costruzione di questa “mezzaluna sciita”, aveva detto il generale Eisenkot: “Dobbiamo evitare che questo accada”. Sempre la scorsa settimana, il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha effettuato una visita improvvisa al nord, dove il paese confina con la Siria: quella è un’area fortemente critica, perché è lì che lo stato ebraico è entrato in contatto col conflitto siriano. “Non permetteremo che la Siria diventi una base per l’Iran e degli sciiti contro Israele”, ha detto Lieberman, e sono parole come queste che aprono lo scenario strategico. Gerusalemme non vuole la presenza di una minaccia esistenziale appicciata ai propri confini, sia in Siria che in Libano. Domenica il segretario generale della Lega Araba, Ahmed Aboul Gheit, ha parlato apertamente di una riunione di emergenza guidata dai sauditi e tenutasi al Cairo per estrapolare i punti chiave di questo contrasto all’Iran. I sauditi si stanno facendo da portavoce per costruire all’interno della Lega una posizione unitaria contro Teheran e far combaciare il tutto con le posizioni israeliane.

Riad e Gerusalemme si parlano in chiave anti-Iran

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