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La fuoriuscita di greggio leggero dalla petroliera iraniana “Sanchi” che il 6 gennaio si era scontrata con un cargo battente bandiera di Hong Kong nelle acque del Mar Cinese Orientale non si è ancora fermata, e via via sta diventando un caso di discussione politica regionale. Quel tratto di mare – dove passa un terzo del traffico commerciale marittimo globale – è considerato uno dei più a rischio del mondo, perché è il luogo in cui si materializzano alcune delle mire geopolitiche di Cina e Giappone, divise da una contesa territoriale a cavallo delle isole Senkaku, sotto il controllo giapponese ma su cui i cinesi rivendicano un’amministrazione storica (le chiamano Diaoyu, nome riportato in un libro di viaggi del XV secolo).

L’agenzia statale cinese che si occupa di ambiente dice che due chiazze di petrolio hanno raggiunto un’estensione di oltre cento chilometri quadrati e il vento le sta spostando verso le acque giapponesi (l’incidente è avvenuto nell’ambito delle acque territoriali cinesi, a circa 160 miglia nautiche a est di Shanghai, mentre la nave viaggiava con 136.000 tonnellate, un milione di barili, dall’Iran alla Corea del Sud); da Tokyo si cercano di minimizzare le preoccupazioni guidate dagli ambientalisti. Il Giappone, che secondo una simulazione del National Oceanography Centre di Southampton vedrà le sue coste raggiunte dal versamento entro un mese, cerca di tenersi tiene lontano dai problemi: mercoledì il ministero dell’Ambiente di Tokyo ha dichiarato che via via avvicinandosi alle acque giapponesi il pericolo diminuirà diluendosi.

Ma è chiaro che il versamento potrebbe intaccare drasticamente l’habitat naturale (o averlo già fatto). È in corso una guerra di nervi, nessun vuol ammettere che quelle acque ricche per la pesca si stanno avvelenando. “Il sito di collisione si trova all’interno dell’area considerata una delle zone di pesca più ricche della Cina, la terra di Zhoushan”, ha spiegato alla CNN Ma Jun, un ambientalista cinese. Greenpeace aggiunge che il versamento si trova “sul percorso migratorio di molti mammiferi marini, come la megattera, la balena franca e la balena grigia”; altre associazioni ambientaliste dicono che i due pennacchi di petrolio visibili sono solo “la punta dell’iceberg”, sarebbero legati al carburante dei serbatoi della nave e non al materiale trasportato, più leggero, volatile, e probabilmente passato già in soluzione con l’acqua marina, per questo milioni di pesci potrebbero essere già stati contaminati.

Gli ambientalisti hanno criticato sia la Cina che il Giappone, denunciando che i due paesi hanno valutato con lentezza i danni prodotti dall’incidente – considerato il peggior disastro petrolifero avvenuto nell’area negli ultimi decenni – per ragioni di interesse, essenzialmente legate alla postura sulla disputa territoriale. In generale, l’incidente stesso – le reazioni, l’intervento, i soccorsi  (sono considerati morti 29 membri dell’equipaggio tuttora dispersi) – rappresenta uno dei potenziali rischi che le contese possono provocare; c’è un codice di condotta in discussione tra la Cina e l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), che fa le parti del Giappone, e lo scopo è rendere prioritario l’aiuto umanitario insieme alla prevenzione degli incidenti.

Per esempio: mancano boe di monitoraggio, dicono i cinesi, perché quelle che Pechino aveva installato erano state rimosse dopo le proteste giapponesi in quanto Tokyo le inquadrava come sistemi di spionaggio. Essenzialmente: Tokyo e Pechino, per ragioni politiche legate agli interessi reciproci su quel tratto di mare, hanno tardato a dare una risposta congiunta alla crisi ambientale che si è innescata; ancora non sono state emanate da nessuno direttive per sospendere la pesca, nonostante le potenziali contaminazioni, quasi in un’attesa strategica del primo passo dell’avversario.

I cinesi hanno attivato le misure di contenimento, le perlustrazioni hanno individuato il relitto della petroliera, sono stati inviati dei robot di recupero: la nave è colata a picco dopo la collisione, e si studia se e quanto del liquido tossico si stia perdendo in mare. Pechino sta spingendo moltissimo il suo ruolo ecologico come spin politico internazionale: ha riaffermato i principi del protocollo di Parigi anche in contrasto al ritiro americano, e nei mesi scorsi ha fatto sapere che la crescita economica potrebbe contrarsi per via dell’impegno green. Non può giocarsi la faccia. Ma quelle acque sono delicatissime, e ogni presenza può incrinare un equilibrio instabile. La scorsa settimana Tokyo ha denunciato lo sconfinamento di una nave militare cinese verso le coste delle Senkaku: la nave, secondo i giapponesi, era seguita in immersione da quello che il ministro della Difesa di Tokyo ha detto essere stato un sottomarino nucleare inviato da Pechino a mostrare i muscoli con discrezione.

(Foto: Wikipedia)

Così una petroliera avvelena (politicamente) il Mar Cinese Orientale

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