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A un primo sguardo superficiale si potrebbe pensare che la campagna elettorale appena avviata si possa ridurre ad una sola domanda semplice semplice: chi arriverà primo fra il centrodestra di Berlusconi, Salvini e Meloni, il Pd di Matteo Renzi e i suoi (piccoli) alleati e il M5S di Di Maio e Grillo?

Questa infatti è la partita per chi governa nella prossima legislatura, come accade in ogni democrazia. Stavolta però questa non è la sola sfida in essere e probabilmente, anche a causa della particolare forma di legge elettorale con cui si vota, nemmeno la più interessante.

Abbiamo infatti di fronte altre tre campagne elettorali, dall’esito assai incerto e dagli effetti potenzialmente molto rilevanti sul futuro politico e istituzionale del nostro Paese.

La prima riguarda il centrodestra italiano, che da 24 anni si identifica con una e una sola persona, cioè Silvio Berlusconi. Certo, Bossi, Fini, Casini e pochi altri hanno avuto un qualche ruolo, ma solo il Cavaliere ha dato corpo, anima, idee e soldi alla area di “non-sinistra”, vincendo e perdendo elezioni con il protagonismo del mattatore. Stavolta però c’è molto di nuovo, oltre al fatto che gli anni passano anche per lui.

C’è innanzitutto il fatto che il suo movimento politico non è più da solo l’azionista di maggioranza assoluta della coalizione, poiché col tempo i consensi di Forza Italia sono calati e quelli della Lega sono cresciuti. Quindi questa campagna elettorale è la prima in cui sono davvero in gioco gli equilibri di potere da quelle parti, come vedremo assai bene nella formazione delle liste in questi giorni e come sarà ancor più evidente dopo le elezioni. Per giunta non è immaginabile per il Cavaliere il ruolo di primo ministro, come invece è sempre stato dopo le vittorie del 1994, del 2001 e del 2008. Il futuro del centrodestra dunque è tutto da scrivere e questo voto di marzo avvierà le operazioni in grande stile.

Poi c’è il movimento fondato da Grillo e Casaleggio ormai dieci anni fa. Anche qui siamo di fronte a un passaggio epocale, come dimostra l’affermarsi della leadership di Luigi Di Maio. Saprà il movimento uscire dalla condizione di catalizzatore di tutte le proteste per diventare forza di governo, accettando gli inevitabili compromessi che ciò comporta?

Nessuno conosce la risposta a questa domanda, né ci possono aiutare a capire meglio le traballanti esperienze dei sindaci Raggi e Appendino. Dovremmo attendere il farsi degli eventi, ma anche in questo caso ci troviamo di fronte ad una sfida senza precedenti per il raggruppamento politico nato dall’ormai mitico VaffaDay.

Infine c’è la sinistra italiana, che arriva alle elezioni piuttosto provata da sette anni di governo in sostanziale solitudine. Ci arriva con un leader, Matteo Renzi, di grande energia, ma oggi messo in discussione da una parte importante dei suoi compagni di strada e del suo popolo, al punto che in un anno ha conosciuto una bruciante sconfitta al referendum, una scissione con la nascita di un partito di sinistra a lui dichiaratamente ostile e il suo abbandono della posizione di primo ministro, lasciata al mite ed equilibrato Gentiloni.

È quindi evidente la posta in gioco il 4 marzo: sarà o no ancora Matteo Renzi il leader della sinistra italiana?
E, in caso di risposta affermativa, a quali condizioni? Eccole qui, le tre “vere” campagne elettorali che abbiamo davanti, a cui si aggiunge quella per la maggioranza del Parlamento.

Una sorta di 3+1, come si usa nei più affermati supermercati.

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