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Cinema e Chiesa ancora insieme. L’ultimo appuntamento è alla Festa del cinema di Roma, per la presentazione del docu-film “Il lavoro che vogliamo”. All’evento erano presenti il regista, Andrea Salvadore, e due nomi di rilievo della Conferenza Episcopale Italiana: il presidente, Gualtiero Bassetti, e il direttore dell’emittente dei vescovi italiani, Paolo Ruffini.

Al centro del documentario ci sono le storie di nove aziende italiane e delle loro “famiglie”, composte da titolari e dipendenti. Racconti singolari, dove lavoratori diversamente abili riescono a fare carriera e imprenditori che si preoccupano delle difficoltà familiari dei propri dipendenti. Casi isolati? Niente affatto, questo è il lavoro che piace alla Cei e che dà dignità ai lavoratori.

LE PAROLE DEL CARDINALE BASSETTI

Il presidente della CEI ha risposto alle domande di Filippo Gaudenzi, vicedirettore del Tg1 toccando diversi argomenti, a cominciare dal lavoro giovanile. Di fronte agli sforzi fatti dal governo, lui ammette: “Certamente, ci sono stati dei passi in avanti, rispetto al passato. Tuttavia, il lavoro che vogliamo deve essere libero dallo sfruttamento. Deve avere valore creativo poiché dobbiamo ricordarci che il primo lavoratore è stato Dio, che è stato pieno di inventiva. Quindi è impensabile un lavoratore come macchina”. Il cardinale Bassetti, poi, ha affrontato il tema della mancanza del lavoro affermando: “Soprattutto i giovani indentificano sé stessi con il lavoro. Quindi, nel momento in cui si trovano senza lavoro, si rendono conto di non avere una identità e questo mette in discussione la loro dignità”. A tale proposito, egli ha ricordato un episodio che lo ha riguardato in prima persona. “Fui avvicinato da un giovane e gli chiesi chi fosse ed egli mi rispose ‘Non sono nessuno’ e mi spiegò che non avendo un lavoro non poteva pensare a un futuro concreto e non aveva nemmeno i soldi per acquistare un’utilitaria”. Una situazione che riguarda tanti giovani italiani ma secondo l’arcivescovo di Perugia “i Neet li fabbrichiamo” e ha aggiunto: “questo non mi fa dormire la notte”. Di fronte a questa situazione, egli ha lanciato più di un suggerimento alla 48° edizione delle Settimane sociali dei cattolici, in corso a Cagliari. Uno su tutti: trasformare gli oratori in laboratori. Un’altra indicazione consiste nell’assegnazione di fondi ai giovani che si trovano “nel limvo della disoccupazione” anche se sono in età matura. Infine, per andare verso una “Chiesa in uscita”, il presidente della CEI vorrebbe mettere a disposizione, addirittura, il sito della Conferenza episcopale, creando una sezione interamente dedicata alle offerte di lavoro.

CHI SONO GLI IMPRENDITORI VIRTUOSI?

Ne sono nove ma rappresenta una parte di quelli presenti in Italia. Testimonianze che confermano la speranza del presidente della Cei, anche in un periodo di crisi. Alcune sono più recenti come la D-Orbit, fondata nel marzo 2011. Un’ azienda in stile Silicon Valley, situata al confine con la Svizzera, dove si progettano macchinari per il trasporto aerospaziale. Qui i giovani non sentono la necessità del posto fisso perché sono le loro idee a far andare avanti l’impresa assicurando loro un brillante futuro.
Diversa, invece, è l’esperienza di Marco Bartoletti, titolare dell’azienda BB spa, che nel documentario ricorda quando, nel 2000, fondò la propria società con due dipendenti, di cui uno aveva importanti problemi di salute. Oggi, dopo 17 anni, l’azienda lavora per importanti marchi di moda e il suo dipendente ha superato gran parte dei suoi problemi, grazie alla fiducia concessagli dal suo datore di lavoro. Anche Enzo Rossi, proprietario dell’azienda di pasta all’uovo La Campofilone, ha messo da parte le distanze tra imprenditore e lavoratore e ha fatto un esperimento. Nel documentario egli rivela: “Ho provato a vivere insieme alla mia famiglia, per un mese, con lo stipendio che davo ai dipendenti. La prova è fallita miseramente. Non sono riuscito ad arrivare a fine mese. Così ho capito che era necessario aumentare lo stipendio dei miei dipendenti”. L’attenzione ai lavoratori riguarda tutta l’azienda e anche la signora Rossi, nel docu-film, afferma di concedere anche due mesi di aspettativa ai propri dipendenti.  il venti del mese si è ritrovato senza soldi. Questa esperienza ha cambiato per sempre la sorte dei suoi operai e dell’azienda. I dipendenti hanno ricevuto un adeguamento in busta paga ma non finisce qui. Quando un dipendente chiede alla signora Rossi di poter stare accanto a un genitore malato, ella è pronta a concedere anche due mesi di aspettativa. Un sogno nell’epoca dell’industria 4.0. In quasi tutti i casi emerge il modello proposto da Adriano Olivetti e risuona attualissima la sua considerazione: “Il lavoro dovrebbe essere una grande gioia ma ancora per molti è un tormento”.

(In foto: Filippo Gaudenzi e card. Gualtiero Bassetti – (c) Stefania Casellato)

Festa del Cinema a Roma, il lavoro secondo la Cei in un documentario

Di Claudio Ianniello

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