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No agli F-35. No alle richieste della Nato sugli investimenti per la Difesa. No a Serraj. E la crisi in Libia? La possono risolvere Cuba e Venezuela. Non sono slogan di uno spettacolo di Beppe Grillo ma le ultime sortite del Movimento 5 Stelle in politica estera. Dopo che gli iscritti registrati sulla piattaforma Rousseau hanno votato le priorità in politica estera sulla base di punti pubblicati sul blog, i punti del documento ora sono integrati e approfonditi con le sortite di Luigi Di Maio, candidato premier del movimento pentastellato e i primi post del programma Difesa in fieri di M5s.

IL RUOLO DELLA NATO

Due giorni fa, intervenendo in un incontro organizzato da Yes Europe Lab, laboratorio di studenti europei dell’Università americana di Harvard, il candidato premier in pectore del Movimento 5 Stelle, Luigi Di Maio, è passato su temi importanti che riguardano la proiezione italiana nel mondo. Per esempio, il ruolo nella Nato. Racconta su Formiche.net Matteo Laruffa, visiting fellow Harvard University: “Non ha esitato a rispondere a uno studente della Kennedy School (Archon Fung, professore di democrazia e cittadinanza alla Harvard Kennedy School of Government, era il moderatore del dibattito, ndr), e membro delle forze armate Usa, dicendo di non condividere le parole di (Donald) Trump sull’aumento della spesa militare che anche l’Italia dovrebbe sostenere nella Nato, o sul voler cambiare la politica estera negli interventi in territori del Medio oriente, come Afghanistan, da dove dovremmo ritirarci subito” secondo di Maio.

CHE COS’È IL 2 PER CENTO DEL PIL

Sul tema il leader grillino è tornato anche in un’intervista concessa alla Stampa, ma prima di andare avanti, un chiarimento: l’aumento delle spese militari italiane nell’ambito Nato non è una stravagante richieste del presidente americano, ma è parte della costituzione dell’alleanza, che dopo il summit in Galles dell’ottobre 2014 ha sancito un impegno minimo, necessario per ogni membro pari al 2 per cento del Pil in investimenti per la difesa. In realtà sono stati pochi i Paesi, ad eccezione degli Stati Uniti (che adesso stanno al 4,1 per cento, teoricamente in rialzo con le politiche di Trump ancora in discussione), a rispettare l’accordo in questi tre anni, e questo ha fatto sì che Washington, già con Barack Obama, iniziasse a far pressione sugli alleati affinché rispettino i patti, gravando meno l’America.

COSA FARE CON LA NATO

“Perché il M5S è contrario?”, chiede a Di Maio il giornalista Paolo Mastrolilli del quotidiano La Stampa. Il candidato premier in pectore dei Cinque Stelle risponde che l’aumento dell’impegno economico italiano è stimato intorno a un valore di 14 miliardi di euro, mentre il reddito di cittadinanza ne costerebbe 17, all’anno: mettere le due cose sullo stesso piano – quello del ‘tanto dobbiamo spendere, spendiamo per altro’ – è sicuramente un argomento accattivante per la costituency del Movimento, ma non è funzionale. La Nato è un’organizzazione di difesa internazionale con una serie di rapporti diplomatici, economici, commerciali, a cascata, che rappresentano la proiezione italiana sulla sfera globale; il reddito di cittadinanza è una decisione di politica interna. Più avanti, Di Maio nella sua chiacchierata con la Stampa aggiunge altri dettagli: dice che il Movimento non è contro la Nato tout court (“Vogliamo restarci, ma non può essere solo un esborso”) e scopre una delle ragioni dietro alle presenti critiche: la visita del premier Paolo Gentiloni alla Casa Bianca. Dice Di Maio che il premier “è venuto qui” – l’intervista è fatta a Boston – e ‘Trump gli ha chiesto di pagare e lui ha detto che pagherà’ (parafrasato). Dunque la posizione del leader pentastellato è anche una postura d’opposizione a una linea presa dal governo (che comunque riguarda il mantenere un impegno internazionale).

COSA FARE COL TERRORISMO

Di Maio propone di ridiscutere il ruolo della Nato e segue una linea già battuta da Trump stesso in campagna elettorale, quando diceva che l’Alleanza era “obsoleta”, anche se ora quella linea è stata modificata. Trump dice che gli Stati Uniti sono “al 100 per cento” con la Nato, che sta facendo quello che gli viene richiesto (anche se in fondo, in realtà, di cose non ne sono cambiate tante). “Discutiamo ad esempio il suo ruolo (della Nato, ndr) contro il terrorismo”, propone Di Maio, ma poi più avanti contesta il ruolo della missione in Afghanistan (perché “come Italia spendiamo centinaia di milioni in maniera irrazionale”), dove le forze della coalizione stanno combattendo i ribelli jihadisti talebani, che sono tornati all’offensiva, e contemporaneamente si trovano davanti allo sviluppo, per il momento limitato, del cosiddetto Isis-K, ossia l’hotspot del Califfato nel Khorasan. “Il Movimento condivide le operazioni militari a Mosul e Raqqa?” chiede il giornalista:  “No, non risolvono il problema. Il saldo delle iniziative militari è sempre negativo, perché colpiscono i civili. Condanniamo tanto gli interventi di Putin, quanto quello recente di Trump in Siria”. Cosa fare allora? Domanda aperta.

COSA FARE CON LA LIBIA

Altro tema caldo: la Libia. In questi giorni i due leader delle opposte fazioni che si combattono (politicamente e militarmente) si sono incontrati e pare si sia aperta la possibilità di intavolare più concretamente un processo di rappacificazione (anche se alcune milizie tripoline hanno già espresso parere sfavorevole al coinvolgimento delle controparti cirenaiche nel processo politico). Quell’incontro, e tutti i piccoli passi che si stanno mettendo insieme in un contesto critico come quello libico, sono anche il frutto di una diplomazia non urlata mediata dall’Italia e che coinvolge americani, russi e alcuni attori regionali. Di Maio dice che questi Paesi hanno però interessi petroliferi (l’Italia per esempio ha in Libia il grande terminal, strategico, dell’Eni a Mellitah) e dunque non sono credibili: “Noi proponiamo una conferenza di pace che coinvolga i sindaci e le tribù (con le quali in realtà l’Italia ha chiuso un importante accordo due settimane fa, ndr), mediata da Paesi senza interessi, tipo quelli sudamericani del gruppo Alba”. Che significa coinvolgere nel processo di pace libico l’Alleanza bolivariana. Sì, è esatto: proprio l’Alleanza bolivariana, di cui fanno parte Cuba e il Venezuela (non c’è un refuso: Cuba e Venezuela per risolvere la crisi libica è l’idea, proprio così). “Poi dobbiamo smettere di affidarci a Sarraj”, ossia l’Italia dovrebbe mollare Fayez Serraj, colui che – seppur indebolito – è stato scelto dalle Nazioni Unite per guidare il processo di pace: dunque Roma dovrebbe mettersi contro un programma che a dicembre 2015 ha ratificato sotto egida Onu e abbandonare una linea politica tenuta per oltre un anno e mezzo (seppur con difficoltà e senza risolvere i problemi). E chi dovrebbe essere l’interlocutore? “Dobbiamo mettere intorno al tavolo chi conta” dice Di Maio, che non specifica.

COSA FARE CON LA RUSSIA

Per esempio, la Russia aveva preso una posizione simile a quella sostenuta da Di Maio, spalleggiando prima ufficiosamente e poi palesemente Khalifa Haftar, il generale freelance con ambizioni politiche egemoniche, che ora si è seduto al tavolo con Serraj, sotto pressioni di Mosca. Alcuni temono che i russi vi influenzino, chiede Mastrolilli. “Chi pensa una cosa del genere non conosce il Movimento 5 Stelle. Non siamo uno strumento nelle mani di superpotenze o Stati” risponde Di Maio – d’altronde non si può combattere l’establishment e lo status quo da manipolati, è questo il messaggio che deve passare. Però le sanzioni post Ucraina alla Russia devono essere tolte, perché – seppur colpevole, spiega il leader M5S – “hanno danneggiato le imprese italiane, mentre i commerci tra Russia e Usa sono aumentati”. La Banca d’Italia ha stime molto cautelative su quel danneggiamento, e uno studio dell’Europarlamento dice che l’interscambio Russia/UE è in calo per via della recessione russa – il Pil crolla del 3.7 e il potere d’acquisto dei cittadini russi si è ridotto per via dell’inflazione alta e della svalutazione del rublo (risultato: riduzione delle domanda interna e calo delle importazioni).

VADE RETRO F-35

Ultima novità? Meglio dare più soldi ai Servizi e rottamare gli F-35. In queste ore il Movimento sta pubblicando i primi post del Programma Difesa che saranno sottoposti alle votazioni on line su Rousseau. I pentastellati propongono “a proposito di opere e sistemi d’arma prettamente offensivi, come gli F-35” di “disincentivare l’acquisto di tali strumenti per destinare maggiori risorse ad altri ambiti della sicurezza nazionale, in primis quello della cyber security e del comparto intelligence”. Evidentemente per il Movimento fondato da Grillo non serve rinnovare la flotta aeronautica italiana.

Luigi Di Maio

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