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La sostanza è la seguente: il Pd, sul caso Consip, è riuscito a mantenere la maggioranza  e a non andare sotto al Senato e che la prossima settimana – il 27 giugno – il ministero dell’Economia nominerà il nuovo consiglio di amministrazione della società con la chiusura definitiva della stagione dell’attuale amministratore delegato Luigi Marroni (nella foto). In mezzo, però, c’è una lunga serie di particolari, di sfumature, di stranezze e di contraddizioni.

IL SI’ ALLA MOZIONE DEL PD

Con 189 sì ieri Palazzo Madama ha approvato la mozione firmata dal capogruppo del Pd in Senato Luigi Zanda con cui si impegnava il governo “a procedere in tempi celeri e solleciti al rinnovo dei vertici della Consip“. Una mozione prima presentata dal Partito democratico e poi, in un certo senso, sconfessata visto che in apertura dei lavori lo stesso Zanda aveva provato, infruttuosamente, a farne rinviare in avanti la discussione. Il motivo? Le intervenute dimissioni, sabato scorso, di due terzi del cda di Consip – il presidente Luigi Ferrara e la consigliera Marialaura Ferrigno – con conseguente decadenza dell’intero consiglio. Una versione sposata pure dall’azionista unico di Consip – il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – il quale, in mattinata, aveva fatto recapitare al presidente del Senato Pietro Grasso una lettera nella quale si affermava che, in virtù delle dimissioni di Ferrara e Ferrigno, la discussione delle mozioni fosse di fatto diventata inutile. Niente da fare però: la mozione alla fine è stata votata e pure approvata. Ma con una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo di Paolo Gentiloni: per il sì – dati alla mano –  risulta che abbiano votato 28 senatori di Forza Italia, 8 di Ala e 3 del gruppo Federazione della Libertà guidato da Gaetano Quagliariello. Non Articolo 1-Movimento democratico e progressista però, che anzi aveva presentato una sua autonoma mozione contro il ministro dello Sport Luca Lotti.

CHE NE SARA’ DELLA MAGGIORANZA?

In pratica, la maggioranza governativa ha finito con il dividersi. Il Pd ha votato con una bella fetta di centrodestra (prove tecniche di larghe intese nella prossima legislatura?) mentre la formazione di Pierluigi Bersani e Roberto Speranza ha votato no. Fino all’ultimo, peraltro, il gruppo di Articolo 1 a Palazzo Madama ha provato a far passare la mozione con cui chiedeva il ritiro della delega al Cipe al renzianissimo Lotti, indagato nell’ambito dell’inchiesta Consip per rivelazione di segreto d’ufficio. Proposta respinta dal Senato che, però, la dice lunga sul clima di scontro permanente esistente tra il Pd e gli scissionisti. Come confermano, pure, le parole durissime pronunciate dal braccio destro di Bersani, Miguel Gotor ieri in aula e anche oggi in un’intervista a Repubblica: “La vicenda Consip è una spia del potere degli ultimi anni, nel triangolo Fivizzano, Laterina, Pontassieve, in cui si ha l’impressione che il perimetro del potere sia troppo spesso stato tracciato con la squadra e il compasso toscani “. Una parola – compasso – che è difficile pensare sia stata utilizzata casualmente da Gotor. Il dubbio che questi due partiti possano continuare ad essere alleati – in questa legislatura e nella prossima – è più che attuale.

LA POSIZIONE DI MARRONI

Fin qui l’aula. Ma ovviamente c’è dell’altro, a partire dal destino ormai segnato di Marroni – figura chiave dell’inchiesta Consip – che però non risulta indagato. A differenza ad esempio del presidente dimissionario Ferrara, il quale risulterebbe – in base alle ultime cronache – sotto indagine per il reato di false informazioni ai Pm. Il capo azienda della società che si occupa di appalti e acquisti della pubblica amministrazione, dunque, il prossimo 27 giugno – quando il Mef nominerà il nuovo cda – lascerà il suo incarico. Ma da non indagato e, per di più, nella qualità di testimone dell’inchiesta Consip, nell’ambito della quale ha pure tirato in ballo numerose personalità – tra cui Lotti e il comandante generale dei Carabinieri Emanuele Saltalamacchia – le quali, ha raccontato ai pm Marroni, gli avrebbero consigliato di bonificare il suo ufficio per la presenza di microspie. “Hanno trovato il capro espiatorio. Del resto chi tocca Lotti muore“, si sarebbe sfogato nella giornata di ieri Marroni secondo il retroscena pubblicato dal Corriere della Sera di oggi a firma di Lorenzo Salvia.

I RISULTATI DI CONSIP

Ciò detto, è comunque abbastanza evidente che Consip debba tornare a una situazione di normalità perché è da mesi che si trova nel bel mezzo di questo tritacarne mediatico-giudiziario con inevitabili ripercussioni su quello che dovrebbe essere il fisiologico funzionamento di un’azienda pubblica. Tanto più di una società così strategica, che nell’arco dei mille giorni del governo di Matteo Renzi è stata anche potenziata con l’obiettivo di farla contribuire in modo sempre più incisivo alla riduzione della spesa pubblica. Una realtà fotografata dallo stesso esecutivo nella relazione sulla spending review che, ironia della sorte, è stata presentata ieri mattina alla Camera mentre al Senato si discuteva della mozioni su Consip. Nel documento illustrato dall’economista molto vicino a Renzi, Yoram Gutgeld (qui l’approfondimento di Formiche.net sul tema) si sottolinea infatti come l’azienda abbia consentito di risparmiare nel 2016 3,5 miliardi di euro, ben il 13% in più rispetto al 2014. Con l’ennesima sfumatura di questa vicenda ancora così poco chiara: che uno degli artefici di questi risultati – rivendicati pure dal governo – e, cioè, il capo azienda Marroni, sta per essere rottamato con il placet dello stesso governo che lo ha nominato e lo ha pure elogiato indirettamente ieri presentando la relazione sulla spending review.

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