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Che le mozioni di sfiducia individuale non servano ad ottenere le dimissioni di un ministro lo dicono i numeri: nella storia repubblicana ne sono state presentate a decine, poste in votazione, comprese le due odierne, 28, approvate una: quella ai danni del ministro della giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, sfiduciato dal Senato della Repubblica il 18 ottobre 1995.

Viene, dunque, da chiedersi cosa spinga le forze politiche di opposizione a presentare mozioni di sfiducia destinate a non essere approvate. La risposta non può che essere una: il narcisismo. Ovvero, la ricerca di visibilità fine a se stessa. E pazienza se è ormai chiaro a tutti che il principale effetto politico di una mozione di sfiducia individuale sia quello di rafforzare e per cosi dire “blindare” il ministro che si vorrebbe dimissionare. Daniela Santanchè, infatti, fa spallucce e ringrazia.

C’è però un’aggravante, indice di una cultura politica poco affine ai principi dello Stato di diritto. Come nell’odierno caso della ministra del Turismo di cui i 5 Stelle e di conseguenza il Pd hanno chiesto, ovviamente invano, la testa, capita sempre più spesso che le mozioni di sfiducia individuale siano “motivate” dall’iscrizione di questo o quel ministro nel registro degli indagati. Un istituto che, sussistendo nel nostro ordinamento la presunzione di innocenza, nasce a “garanzia” dell’imputato. Nella logica giustizialista, invece, un avviso di garanzia è indice di colpevolezza, ed è su questa presunzione di colpevolezza che prendono corpo le richieste di sfiducia. Non è un caso che il ricorso a tale arma, benché spuntata, sia molto aumentato dal momento il cui i grillini sono entrati in Parlamento. Nel corso della XVII legislatura, infatti, solo alla Camera sono state presentate 26 mozioni di sfiducia individuale e ne sono state discusse 5, di cui ben 4 firmate dal Movimento 5 Stelle.

Si tratta di un malcostume: un’evidente rinuncia alla logica politica in favore della logica giudiziaria. Una degenerazione trasversale nel Parlamento nazionale così come negli enti locali, dove è in vigore da decenni la prassi di denunciare alla magistratura sindaci e assessori per decisioni assunte nel pieno delle proprie funzioni. Le opposizioni abusano, dunque, della carta bollata, ma quando si trovano al governo delle città o del Paese se ne dimenticano e in molti casi denunciano lo sconfinamento dell’ordine giudiziario sul terreno del potere politico. Due pesi e due misure indicativi di una scarsa cultura giuridica, di una inconsistente impostazione liberale e di un’abissale sfiducia nelle proprie capacità politiche.

Santanchè, quando la politica si affida alla magistratura. Il commento di Cangini

Capita sempre più spesso che le mozioni di sfiducia individuale siano “motivate” dall’iscrizione di questo o quel ministro nel registro degli indagati. Un istituto che, sussistendo nel nostro ordinamento la presunzione di innocenza, nasce a “garanzia” dell’imputato. Nella logica giustizialista, invece, è indice di colpevolezza, ed è su questa presunzione di colpevolezza che prendono corpo le richieste di sfiducia

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