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Dalla mezzanotte del 6 maggio è entrato in vigore l’accordo per demilitarizzare quattro zone di combattimento in Siria. Secondo la Turchia, che ha firmato il documento d’intesa insieme a Russia e Iran (i tre paesi compongono il gruppo di lavoro diplomatico che si riunisce ad Astana, in Kazakistan, parallelamente ai talks condotti dall’Onu a Ginevra), il 50 per cento delle zone in cui si combatte sarà messo al sicuro.

Ci sono alcuni problemi tecnici: il primi riguarda il fatto che né il governo né le opposizioni compaiono tra le firme di coloro che hanno ratificato l’intesa, e soprattutto entrambe le fazioni hanno già fatto sapere che nulla è definitivo. Damasco dice di sostenere la demilitarizzazione di quelle aree, ma si mantiene “il diritto” di combattere i terroristi. Sebbene il deal lasci aperta la possibilità di azione contro i gruppi affiliati ad al Qaeda e contro lo Stato islamico (azioni militari in questo senso saranno consentite anche ai ribelli), è noto che la definizione di ‘terroristi’ per il regime assume un’accezione ampia che comprende praticamente tutte le opposizioni. Altro problema, diciamo tecnico, è la presenza dell’Iran tra i firmatari: i ribelli la considerano provocatoria, perché Teheran è troppo coinvolto nel conflitto, e anche gli Stati Uniti l’hanno contestata in un nota del dipartimento di Stato che dice più o meno ‘finché in mezzo ci sono gli iraniani non c’è sicurezza su quel che sarà’ – l’amministrazione Trump è molto più dura delle precedente nei rapporti con la Repubblica islamica. Il motivo di sfiducia su questo aspetto, espresso anche dalle Nazioni Unite, sta nel fatto che l’Iran dà sostegno a tutti i gruppi paramilitari, ideologici e spietati, che combattono per Bashar el Assad.

Capitolo America. Gli americani hanno inviato ad Astana, per la prima volta da quando sono iniziate le riunioni negoziali, un alto funzionario del dipartimento di Stato – Stuart Jones, che guida l’ufficio che copre gli Affari nel Vicino Oriente. Il ruolo americano è stato puramente di contorno, perché nemmeno gli Stati Uniti hanno firmato l’intesa, ma si tratta di una presenza importante: pochi giorni fa il presidente russo Vladimir Putin aveva detto, parlando della creazione delle 4 zone demilitarizzate, che senza Washington la guerra civile siriana è irrisolvibile. Però, proprio tra Russa e America s’è già creata polemica sulla gestione di quelle zone sicure che dovrebbero essere il lancio verso una demilitarizzazione generale.

Quelle aree avranno un controllo a terra attraverso checkpoint che monitoreranno l’assenza di scontri, ma i russi, che secondo un capo dei ribelli intervistato dal New York Times “stavolta sembrano più seri”, vogliono anche interdirle al volo; dice quel comandante dell’opposizione al Nyt che se loro vorranno potranno tenere a terra i caccia governativi, perché Damasco fa quello che Mosca ordina. Però nell’idea russa, spiegata dall’inviato speciale del Cremlino per il conflitto siriano Aleksandr Lavrentiev, c’è di proibire i voli su quelle quattro safe-zone anche agli aerei americani e alleati che fanno parto della Coalizione che combatte lo Stato islamico.

Dice Larentiev che “l’unica parte” della Siria dove la Coalizione potrà volare adesso è quella orientale occupata dal Califfato e fa un ragionamento che suona più o meno così: ‘se combattono l’IS, là devono andare e non lungo la costa, e poi terremo a terra anche noi i nostri aerei, perché gli Stati Uniti e i loro partner non dovrebbero farlo?’, “la questione è chiusa” ha detto Larentiev a un giornalista che chiedeva spiegazioni se con Washington c’era stato un accordo specifico a proposito.

Che dicono gli americani? Un portavoce del dipartimento di Stato, Edgar Vasquez, ha già definito “una cosa che non ha senso” la richiesta russa, perché è l’accordo stesso che “non preclude a nessuno di andare a cacciare i terroristi ovunque si trovino in Siria”. Il programma di counter-terrorism americano in Siria prevede attacchi contro l’IS, ma anche contro i gruppi considerati ancora satelliti di al Qaeda (come Hay’at Tahrir al-Sham, un tempo nota come Jabhat al Nusra), che controllano ampie fette di territorio, per esempio nella provincia di Idlib, che è una delle quattro zone che saranno soggette a no-fly e de-conflicting. Ma oltre all’aspetto tecnico, gli americani contestano di fondo che vietare il volo su tutta la parte orientale della Siria, che è quella che è rimasta in mano al regime, è un atteggiamento troppo protettivo nei confronti di Assad.

Anne Barnard, l’esperta del Nyt per il conflitto siriano, dice che comunque “questo genere di discussioni sono, in un certo senso, accademiche”, perché di fatto gli Stati Uniti non hanno mai avuto il consenso di usare lo spazio aereo della Siria per le proprie missioni, e il governo di Damasco definisce i bombardamenti americani contro IS e al Qaeda “violazioni di sovranità” – che la Russia comunque tollera ampiamente, perché non fosse avrebbe tutte le capacità per bloccare i caccia della Coalizione. Inoltre il documento firmato ad Astana non prevede punizioni per chi viola le no-fly zone.

Russi e americani già in polemica sul nuovo accordo sulla Siria

Dalla mezzanotte del 6 maggio è entrato in vigore l'accordo per demilitarizzare quattro zone di combattimento in Siria. Secondo la Turchia, che ha firmato il documento d'intesa insieme a Russia e Iran (i tre paesi compongono il gruppo di lavoro diplomatico che si riunisce ad Astana, in Kazakistan, parallelamente ai talks condotti dall'Onu a Ginevra), il 50 per cento delle zone…

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