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Come era prevedibile, il caso “dieselgate” si allarga alle altre aziende europee produttrici di veicoli diesel di media-alta cilindrata. Le imprese automobilistiche – in ultimo Fiat Chrysler Automobiles (Fca) e Renault – sono accusate di aver applicato software o sistemi analoghi per fare in modo che le emissioni reali misurate corrispondessero a quelle dichiarate nell’omologazione dei veicoli effettuata secondo le procedure europee.

L’origine della vicenda va ricercata nel Regolamento europeo (CE n. 175/2007) che ha stabilito per le auto diesel (Euro 5 ed Euro 6) limiti molto stringenti sia per le emissioni degli ossidi di azoto (NOX) che per i consumi (emissioni di CO2). Nelle normali condizioni di esercizio, cioè su strada, il rispetto contestuale dei due limiti è praticamente impossibile.

Nel 2006-2007, durante il negoziato per la preparazione del regolamento europeo, avevo più volte messo in evidenza la non praticabilità dei limiti proposti, ma il combinato disposto della demagogia ambientalista e della difesa del diesel da parte delle industrie europee aveva prevalso sulle considerazioni tecniche generando un regolamento europeo che è il cuore della questione. Il regolamento, infatti, prevede che l’omologazione dei veicoli nuovi sia effettuata su “banco”, cioè in laboratorio: per evitare che durante l’omologazione i limiti vengano superati, il veicolo – ovviamente dotato dei dispositivi per il trattamento delle emissioni – viene fatto girare a basso regime, ovviamente in condizioni molto diverse dall’uso degli stessi veicoli su strada.

Avevo fatto notare che la procedura di omologazione adottata dal regolamento europeo era in conflitto con la procedura internazionale (la “Worldwide Harmonized Light Vehicles Test Cycle”, Wltc), utilizzata negli Stati Uniti, che stabilisce l’omologazione nelle “condizioni d’uso”. Dovevamo aspettarci che i veicoli omologati con le procedure europee non avrebbero superato la prova del Wltc.

Allora la mia posizione era rimasta isolata e il ministro dell’Ambiente dell’epoca aveva insinuato un mio legame privilegiato con gli Stati Uniti. Dieci anni dopo un rapporto dell’Agenzia europea dell’ambiente – “Air quality in Europe 2016” – riconosce che le emissioni reali dalle auto diesel Euro 5 ed Euro 6 sono molto più alte di quelle accertate all’atto dell’omologazione. Intanto il Parlamento europeo ha stabilito di introdurre la Wltc per veicoli nuovi immatricolati dal 2017. Ma ormai i buoi sono scappati dalla stalla.

L’effetto del dieselgate è globale: la messa al bando delle auto diesel è oggi la prima misura che viene adottata per ridurre l’inquinamento urbano, dall’India alla Cina, dall’Italia agli Stati Uniti. Mentre il diesel diventa marginale nel panorama globale dell’industria dell’auto.

Ai costi multimiliardari delle sanzioni americane si aggiungono quelli ingentissimi, ma necessari, per la riconversione dell’industria dell’auto. E’ infatti evidente che il dieselgate ha accelerato la trasformazione degli obiettivi e delle tecnologie delle grandi case automobilistiche mondiali.

Volkswagen, per esempio, ha deciso di orientare gli investimenti in Germania verso la produzione di batterie, auto elettriche e ibride plug-in, con la previsione di introdurre nel mercato entro il 2025 almeno trenta modelli di auto elettriche. Volkswagen è l’ultimo grande costruttore di automobili a scegliere le auto ibride ed elettriche, dopo Toyota, General Motors, Nissan, Hyundai, Ford, senza dimenticare le potenze “emergenti”, come la cinese Byd (“Build Your Dreams”) e la nordamericana Tesla.

Altri produttori europei sono entrati nel “club”: Bmw, Mercedes e Jaguar-Land Rover (Jlr) del gruppo indiano Tata. Fca, invece, non sembra al momento interessata.

Forse quelli che non sono ancora entrati nel club possono sperare che il presidente Trump cancelli le norme del “Clean Air Act” che hanno scoperchiato la pentola dell’ipocrisia del regolamento europeo, dando nuova vita al diesel. Ma il diesel è stato affossato negli Stati Uniti dai consumatori prima ancora che dalle norme, e negli altri grandi mercati dall’emergenza sempre più pressante dell’inquinamento urbano.

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