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In Italia direbbero che ha fatto appena in tempo a mangiare il panettone. Non è certo però che il ministro dell’Economia, Alfonso Prat-Gay, l’avesse ancora digerito quando è stato licenziato senza alcun preavviso dal presidente Mauricio Macri subito dopo la messa di Mezzanotte e senza neppure attendere l’arrivo dei re Magi. Il clima generale, peraltro, resta di vacanza. In quanto le feste di fine dicembre nel paese australe coincidono con le ferie e lo stesso Presidente della Repubblica si è trasferito nella residenza estiva. Ma sebbene al mare o tra i boschi, il governo ha compiuto il suo primo anno di vita continuando a lavorare. Inflazione, recessione, disoccupazione non concedono tregua. Prat-Gay è la vittima governativa più illustre della crisi e la conferma della sua virulenza.

Macri intende combatterla accentrando ancor più su di sé la gestione di una terapia di stampo monetarista, malgrado i deludenti risultati dei primi dodici mesi. Anch’egli convinto mercatista, ma con una visione gradualista, Alfonso Prat-Gay, già responsabile del Banco Centrale nel primo governo di Nestor Kirchner, paga il prezzo di aver rivendicato una maggiore autonomia. A lui, nel dicembre 2015, il Presidente affidò la pesante manovra di indebitamento sui mercati interno e internazionali, in virtù della quale sono state superate le immediate difficoltà finanziarie della successione a Cristina Kirchner. E soprattutto, pur di rientrare quanto prima nel mercato creditizio internazionale, sono stati pagati al cento per cento e in contanti i debiti residui del default del 2001, pretesi da un paio di fondi speculativi degli Stati Uniti.

L’urgenza più drammatica, però, adesso, è la riattivazione produttiva. Nel corso delle festività natalizie, Buenos Aires è stata percorsa in lungo e in largo da cortei di disoccupati che chiedono lavoro e di lavoratori che chiedono di adeguare al costo della vita i loro salari divorati dall’inflazione. Prat-Gay riteneva di dover favorire l’occupazione riducendo il costo degli investimenti, perciò si opponeva al responsabile del Banco Centrale, Federico Sturzenegger, che invece ha elevato i tassi d’interesse. Un dualismo che serpeggia all’interno dell’intera compagine governativa, riflesso più o meno diretto delle due anime della coalizione che la sostiene, Cambiemos: quella del PRO, il partito personale di Mauricio Macri, e l’altra che riunisce la parte preponderante del partito radicale a cui fa riferimento Prat-Gay. L’intervento del Presidente rende manifesta la sua intenzione di imporre la linea più ortodossa.

Contestualmente al licenziamento del suo più importante ministro, egli ha ulteriormente frazionato i dicasteri economici dividendo quello finora condotto da Prat-Gay in due: Economia, affidato a uno dei due sottosegretari alla presidenza, Gustavo Lopetegui, ex amministratore delegato di una compagnia aerea; e Finanze, mirato essenzialmente all’amministrazione dei conti pubblici, in cui l’ex banchiere Nicolàs Dujovne dovrà dedicarsi a più decisi tagli di spesa. A questo punto i ministri economici sommano a 7 (23 in totale), sottolineando quindi -se ve ne fosse bisogno- l’assoluta preminenza del Presidente, che se ne fa totalmente responsabile. I prossimi mesi appaiono infatti decisivi. Nel 2017 avranno luogo le elezioni parlamentari di metà mandato e se nel frattempo l’economia non sarà risalita dall’attuale recessione, Macri intravvede tutti i rischi d’una sconfitta.

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