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“Ed Egli (Dio, ndr) vi dice di fuggire il peccato, causa principale dei grandi castighi”. Sono parole che meritano la censura del Vaticano e la cacciata da Radio Maria. Però non è una frase di chi quelle punizioni se le è prese tutte, il frate domenicano Giovanni Cavalcoli. Sono di un altro Giovanni, il XXIII, il papa buono e santo per la Chiesa, nel radiomessaggio alla popolazione di Messina per il 50° anniversario del terremoto del 1908.

Chissà se è anche per questo che il teologo domenicano tira dritto, confermando punto per punto la sua risposta di domenica scorsa alla domanda di un ascoltatore dell’emittente cattolica che con i suoi 850 ripetitori permette una copertura in Italia pari a quella della Rai. Sintesi giornalistica: il terremoto è un castigo divino all’Italia per l’approvazione delle unioni civili (in questo articolo la ricostruzione con fatti, parole, reazioni e conferme da parte del frate).

UN ROMAGNOLO METAFISICO

Volto bonaccione da romagnolo doc ben lontano dalla figura arcigna del confratello inquisitore Bernardo Gui del Nome della Rosa (non quello della storia, che era di altra stoffa rispetto a quanto uscito dalla penna di Umberto Eco), Cavalcoli è nato a Ravenna, il 9 agosto 1941. E’ tre volte laureato: in Filosofia a Bologna con Gianfranco Morra (tesi su “La crisi dell’intellettuale nella società moderna”); ancora in Filosofia a Roma all’università dei domenicani Tommaso d’Aquino, quindi dottorato in Teologia nello stesso ateneo (tesi dal titolo “Il giudizio per affinità nel dono della sapienza”). Solido metafisico nello stile aquinate, ha insegnato e insegna teologia e metafisica nel combattivo Studio filosofico domenicano di Bologna. Sicuramente non un progressista, il frate è autore di qualcosa come centoquaranta studi scientifici, nei quali spiccano la critica a Rahner e alla sua idea di cristiano anonimo, ma anche su aspetti morali e la teologia del corpo in Karol Wojtyla. Per qualche tempo ha lavorato a stretto contatto con Giovanni Paolo II in Segreteria di Stato vaticana, quella che, per voce del suo secondo, oggi lo bacchetta con una condanna durissima: sono affermazioni “offensive per i credenti e scandalose per chi non crede”, ha detto monsignor Angelo Becciu, che ha rincarato la dose: “Chi evoca il castigo divino ai microfoni di Radio Maria offende lo stesso nome della Madonna”. E ha rimandato il padre a riguardarsi il vangelo della misericordia. Il frate, di par suo, ha invitato le alte stanze vaticane a ripassare il Catechismo.

I PRECEDENTI DEL FRATE PREDICATORE SU PECCATO E CASTIGO

Le posizioni del padre su omosessualità, castigo divino e terremoti non sono una novità. Esplicito il titolo di un corposo saggio uscito un anno fa sulla rivista telematica l’Isola di Patmos (isoladipatmos.com) da lui co-diretta: “Dio castiga e usa misericordia”. Questo il sommario dell’articolo: “Oggi molti, influenzati da un molle e dolciastro buonismo, non capiscono come il castigo del peccato sia doverosa giustizia; e siccome la giustizia è volontà di ciò che è giusto e quindi buono e il volere il bene è amore, non capiscono come il castigo, in fin dei conti, è dettato dall’amore per lo stesso peccatore”.
Già nel 2011, quando lo storico – e allora vicedirettore del Cnr – Roberto De Mattei, sempre dai microfoni di Radio Maria, parlò di catastrofi naturali che a volte “possono essere, e talora sono, esigenza della giustizia di Dio”, il domenicano fu tra i pochi a difendere lo studioso. Poi, discettando di “Concezione cristiana del male” su RiscossaCristitana.it chiarì: “Che al peccato debba seguire una giusta pena è un principio di giustizia naturale accettato dalla Bibbia e da ogni uomo che abbia un minimo di senso della giustizia”.
Ma già all’epoca certe uscite non piacquero a Roma. Il predicatore della Casa pontificia, il francescano Raniero Cantalamessa, nella sua omelia per il Venerdì Santo davanti al papa – regnante Benedetto XVI – senza citarlo disse: “Terremoti, uragani e altre sciagure che colpiscono insieme colpevoli e innocenti non sono mai un castigo di Dio. Dire il contrario, significa offendere Dio e gli uomini”. Civiltà Cattolica e Osservatore Romano (quindi: Segreteria di Stato) furono ancora più duri.
Anche De Mattei fu poi cacciato da Radio Maria, ma tre anni dopo, e non per quelle teorie sulle catastrofi naturali, ma per avere criticato papa Francesco. Stessi motivi addotti nella sentenza di “epurazione” dei giornalisti Antonio Socci, Mario Palmaro e Alessandro Gnocchi.

I TONI ACCALORATI DI RADIO MARIA

Del resto a Radio Maria, certi toni accesi non sono mai mancati. Di castighi e segni terribili parlano i messaggi della presunta Madonna di Medjugorje che l’emittente rilancia continuamente. Il direttore padre Livio Fanzaga nel corso del suo seguitissimo commento alla stampa del giorno, ne ha dette di molte. In occasione di Vatileaks, aveva evocato per chi “aveva tradito”, la scena di Giuda con relativa impiccagione. Non passò inosservato il tono alla Savonarola rivolto alla senatrice Cirinnà, relatrice del ddl sulle unioni civili, all’indomani dell’approvazione della legge: “Oggi festeggia, ma arriverà anche lei al funerale”. “Ma glielo auguro il più tardi possibile”, concesse il microfono di Dio.

PADRE GIOVANNI E LA CRITICA A BERGOGLIO

Adesso padre Livio ha rimosso Cavalcoli dalla conduzione di un programma che il teologo teneva dal 1995. E dire che il frate non è nuovo a critiche anche al Papa. “La Chiesa parla troppo di misericordia e poco di peccato” argomentava il domenicano in maggio dialogando con la fedequotidiana.it, non tralasciando un deciso appunto a Francesco, “non censurabile quando parla di dogmi e verità di fede (…) Però ciascuno, con rispetto, è libero di muovere critiche al suo operato pastorale”. Incalzava: “Allo stato vedo un’ondata di misericordismo eccessiva e diffusa, se ne parla troppo e poco del peccato. Giustizia e misericordia camminano di pari passo e non ha senso predicare misericordia senza rimarcare la gravità del peccato. E’ dannoso”. Sulla stessa rivista in luglio il padre ha bollato lo stile bergogliano: “Quando parla a braccio crea pasticci”. Il riferimento era alle scuse del papa agli omosessuali: “Perché mai chiedere scusa ai gay? La sodomia è un peccato mortale, roba da Catechismo e chi è in peccato mortale se muore senza pentimento, va all’inferno, è bene che anche preti e vescovi se lo mettano in testa e noi sacerdoti dobbiamo dirlo costi quel che costi”.
Dopo la sortita a Radio Maria, alla Zanzara di Radio 24 il domenicano ha evocato il castigo divino di Sodoma e Gomorra. E a Radio Capital ha detto: “Certo che l’omosessualità è peccato. E’ contro natura”. All’intervistatrice che gli domandava se ci si devono aspettare altri castighi oltre il terremoto, ha confermato: “Ma non bisogna impressionarsi, Cristo ha trasformato il castigo in redenzione”.

IL COLPO DI SCENA CON AMORIS LAETITIA

Ma il frate sa stupire. Creò un certo disappunto negli ambienti intellettuali più tradizionalisti quando, nel dibattito sul sinodo sulla famiglia e la possibilità di comunione ai divorziati risposati, sposò una linea che in quegli ambienti sembrò un tradimento: “Il concedere o non concedere la comunione entra nel potere della pastorale della Chiesa e nelle norme della liturgia, che sono stabilite dalla Chiesa secondo la sua prudenza”. Bisogna evitare sia “la rigidezza di un conservatorismo rigorista” sia “il modernismo storicista e lassista”. Non esistono “condizioni peccaminose”, perché “il peccato è un atto, non è una condizione, né è uno stato permanente”.
Postulatore nella causa di beatificazione del confratello Tomas Tyn – che il padre definisce “un tradizionalista post conciliare” – una volta uscita l’esortazione post sinodale Amoris Laetitia (sommamente criticata dai conservatori), Cavalcoli ne scrisse come di un documento “che ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede”.
Insomma: è un figlio di San Domenico poliedrico e dal pensiero articolato, lo schietto metafisico romagnolo padre Cavalcoli. Il cui argomentare forse mal si presta a riassumerlo in un titolo di giornale.

Giovanni Cavalcoli, ecco idee e sortite del frate bacchettato dal Vaticano e silurato da Radio Maria

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