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Un antico proverbio turco recita: “Se stai scavando una fossa per il tuo vicino, misurala su te stesso”. Si adatta perfettamente all’attuale situazione dei loro vicini siriani.

Negli ultimi tre anni, sono aumentate non solo le condanne per il mancato rispetto dei diritti umani da parte di Bashar al-Assad, ma anche le preoccupazioni per il futuro della Siria e dell’intera regione se il regime dovesse crollare improvvisamente senza dare tempo a nuove e legittime istituzioni statuali di prenderne il posto.

In un disastro che è già costato la vita a oltre 270.000 siriani, alcuni vogliono evitare di ripetere lo stesso errore commesso in Libia nel 2011 dai francesi e dagli americani (con il sostegno italiano). Gheddafi era in grado di tenere sotto controllo le numerose tribù; offriva un punto di riferimento e un’autorità centralizzata. Con la sua morte, la Libia è caduta in una situazione di caos permanente e la guerra civile tra le bande sta superando il triste record di durata della stessa Seconda Guerra Mondiale.

In Siria, Assad è ora costretto a giocare su più tavoli una partita mortale. Vediamo quali.

LA SITUAZIONE MILITARE

Dopo il rapido collasso del proprio esercito nella battaglia di Idlib l’anno scorso, il presidente ha ammesso – in un discorso reso famoso dai media di Stato siriani – che le forze armate del regime stavano subendo tremende sconfitte e si stavano ritirando da diversi fronti a causa del soverchiante numero degli avversari. Fin dai mesi precedenti, tutta la nazione è stata soggetta a disperati arruolamenti più o meno forzati. A luglio 2015, il regime sembrava ormai sul punto di crollare sotto il peso cumulativo di anni di attriti esterni e defezioni interne a tutti i livelli. Iran e Russia sono, quindi, intervenuti militarmente a sostegno della Siria ottenendo indubbi successi già entro febbraio di quest’anno. Anche gli stessi americani hanno compreso il rischio connesso con l’abbandono all’anarchia di uno Stato in una regione chiave dello scacchiere geopolitico. Robert Malley – il più ascoltato consigliere di Obama per il Medio Oriente – è più volte intervenuto pubblicamente a sostegno dell’odiato regime di Damasco, individuandolo come unica garanzia di stabilità.

Dopo cinque anni di guerra, l’organizzazione delle forze armate di Damasco è sempre più simile a quella delle milizie che vi si oppongono. Anche se meglio rifornite da quel che rimane dello scheletro logistico dell’Esercito Siriano-Arabo, le forze combattenti fedeli al governo consistono ormai sostanzialmente in un arcobaleno di milizie. Ciascuna è localizzata nel territorio di appartenenza e ha collegamenti più o meno stabili con altre fazioni, sostenitori interni o stranieri e signori della guerra locali. L’analista Jawad Al-Tamimina ha tentato una prima classificazione raccogliendole in alcuni gruppi principali: le numerose milizie Hezbollah e Sciite provenienti dall’Iran, quelle filopalestinesi, Al-Bustan e i “Leopardi di Homs”, quelle della provincia di Suwayda, Suqur al-Sahara, le milizie filocristiane, diverse fazioni che fanno capo a servizi militari di elite, in particolare collegati ai servizi segreti dell’esercito e dell’aeronautica e, naturalmente, la Guardia Repubblicana. Andando ad approfondire la struttura di ciascuna ci si perde rapidamente in un ginepraio di affiliazioni. Fra tutte queste, solo una minoranza non si limita al presidio del territorio ma è dotata di una reale capacità offensiva.

A differenza del puzzle delle tribù che si contendono brandelli di territorio in una regione egualmente martoriata come quella libica, in Siria la frammentazione non nasce da suddivisioni settarie o demografiche ma è il risultato di fattori economici sovrapposti a interessi locali. Mentre il regime totalitario centralizzato si atrofizza, il vuoto di potere viene colmato da capipopolo, signorotti e imprenditori privi di scrupoli con forti legami su un territorio delimitato. Anche il più volte pubblicizzato accordo con le popolazioni sunnite presenti nelle aree urbane del territorio siriano, nei fatti risulta scomposto in accordi personali con un’insalata di singoli capibanda di dubbia lealtà.

Per questo, mentre la mappa del potere mostra il progressivo prosciugamento dei territori sotto il controllo degli estremisti islamici e dei ribelli siriani, le aree nominalmente sotto il controllo del governo sono in realtà un arcipelago di piccoli staterelli feudali solo nominalmente fedeli ad Assad e sempre in attrito con i feudi confinanti.

La reale capacità offensiva è ora in gran parte monopolizzata da due formazioni armate di elevatissima mobilità: l’Armata Tigre (Fawj Maghawir al-Badiya), guidata da Suheil Hassan, formatosi nei servizi segreti dell’aeronautica, e i Falchi del deserto (Liwaa Suqour Al-Sahra) fondata dal generale dell’esercito Mohammad Jaber. Queste unità, rispettivamente basate ad Aleppo e Latakia, sono in grado di spostarsi rapidamente sul territorio neutralizzando locali offensive di ribelli o spegnendo dissidi locali quando raggiungono un livello elevato di pericolosità. Occasionalmente, guidano reali azioni offensive volte a riconquistare territori perduti. Offensive preparate a tavolino con preventive quanto temporanee alleanze con signorotti locali, forze straniere e i rimanenti brandelli del regime presenti sul territorio interessato.

L’economia delle milizie – a parte una trascurabile quota derivata dall’agricoltura, ormai limitata all’autosussistenza – si basa sul contrabbando di carburante, di armi e di persone. Gruppi armati nominalmente fedeli ad Assad hanno imparato a sfruttare le lacune organizzative per emanciparsi anche economicamente dalla tutela regime. Questa estate, in uno scontro presso Hama, le forze militari ufficiali siriane che stavano manovrando verso i territori controllati da Isis hanno sorpreso un grande convoglio di autocisterne piene di carburante di contrabbando. Gli ufficiali siriani, temendo la vendetta del signorotto locale Talal Dakkak, invece di sequestrare tutto hanno subito passato il bottino al locale direttorato dei servizi segreti dell’aeronautica. Col risultato che tutto il convoglio è di nuovo scomparso.

(prima parte dell’analisi, la seconda parte sarà pubblicata nei prossimi giorni)

Tutti i dettagli sulla struttura militare di Assad in Siria

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