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Nel suo intervento al meeting speciale del World Economic Forum ospitato a Riad, il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha detto che Israele ha fornito “una proposta di accordo sugli ostaggi molto generosa”, che potrebbe portare a un cessate il fuoco a Gaza e ha esortato Hamas ad accettarla presto. Ma ha anche parlato del valore strategico che c’è dietro a tutto questo: un nuovo ordinamento del Medio Oriente.

C’è un momentum diplomatico attorno al conflitto che gli Stati Uniti intendono sfruttare per due ragioni. La prima, arrivare effettivamente a uno stop alle armi che permetterebbe di allentare il peso della guerra sulla campagna elettorale di Joe Biden – si veda il caos nei prestigiosi atenei che hanno protestato contro l’amministrazione, scivolando anche in imbarazzanti derive antisemite. Ma poi c’è un altro tema: il ruolo strategico degli Stati Uniti contemporanei in una regione mediorientale che resta centrale quanto irrequieta.

Se è vero che “il nuovo Medio Oriente odia il vecchio Medio Oriente”, come dice riservatamente un esperto regionale, perché la nuova classe dirigente (soprattutto nel Golfo) non vuole più restare impelagata in dossier senza soluzione, allora la guerra nella Striscia di Gaza è uno degli episodio più detestabili. La questione palestinese è un problema annoso, probabilmente irrisolvibile nello stato dei fatti, e per questo pensare che possa essere da intralcio tattico a una serie di dinamiche di distensione e sviluppo regionale è deprecabile per le leadership della regione.

Per questo, il secondo obiettivo di Blinken – che torna nell’area dopo una relativamente lunga assenza e dopo avervi viaggiato altre quattro volte dal 7 ottobre a oggi – è quello di rassicurare il più grande degli alleati americani che in qualche modo ci sarà un post-bellico proficuo. I media americani (su spin dell’amministrazione probabilmente) lo chiamano “mega-deal” con l’Arabia Saudita, un accordo destinato a rimodellare gli equilibri regionali. Per Blinken, l’unica cosa che manca a questo mega accordo è la fine della guerra a Gaza e l’avvio di un percorso per uno Stato palestinese.

Attenzione: si parla di inizio di un percorso, non di una costruzione totale dello stesso, e i termini contano, perché per la Palestina ci sarà probabilmente ancora diverso tempo da attendere. Invece Washington vorrebbe definire l’accordo con Riad rapidamente, magari per rivenderlo anche in ottica elettorale. Anche perché il mega accordo potrebbe anche includere la normalizzazione delle relazioni tra Israele e Arabia Saudita, e dunque incrociare pure il sostegno dei potentissimi ebrei americani (che dimostrerebbero anche quanto giusta e legittima sia stata la reazione al sanguinoso attacco subito il 7 ottobre, avvio della stagione di guerra, tanto che la necessità strategica non è stata abbandonata dai sauditi).

Il segretario di Stato lo ha detto, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita sono molto vicini a completare la loro parte dell’intesa: un accordo bilaterale di difesa e uno riguardante un programma nucleare civile saudita. Quando i due Paesi completeranno questa fase, le domande teoriche che pone a Israele diventeranno reali e i leader israeliani dovranno prendere decisioni. A quel punto, ci saranno due strade per andare avanti: continuare il ciclo di violenza o integrare la regione e unirla contro la minaccia dell’Iran. Nota da non dimenticare: le posizioni di Blinken escono durante una visita che arriva al suo rientro dalla Cina, con Pechino sempre più interessata a muoversi in Medio Oriente (“con caratteristiche cinesi”). Cina che per altro ammette, per la prima volta ufficialmente, di aver cercato di facilitare il dialogo tra Hamas e Fatah. Pechino potrebbe voler usare la riconciliazione tra le due principali fazioni palestinesi per la narrazione di potenza responsabile e portatrice di armonia, consapevole per altro che l’eventuale soluzione a Due Stati passa necessariamente da quella riconciliazione.

Il ministro degli Esteri saudita, Faisal bin Farhan, che ha parlato con Blinken, ha detto che senza un cessate il fuoco a Gaza e un orizzonte politico per i palestinesi, i Paesi arabi avranno difficoltà a discutere una soluzione postbellica regionale. È un’affermazione ampia che va anche a toccare gli equilibri degli Accordi di Abramo, ma è anche una linea narrativa ovvia: Riad, regno custode dei luoghi sacri dell’Islam, non può non dettare certe condizioni. Secondo la sua dichiarazione, Arabia Saudita e Stati Uniti sono d’accordo sulle linee generali della componente palestinese di tale accordo, che si concentra su “un percorso credibile e irreversibile per uno stato palestinese”.

A settembre scorso, un mese prima dell’attacco di Hamas — e sulla scia di grandi progetti come Imec che coinvolgono i due Paesi — il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman ha detto a Fox News che “ogni giorno che passa, siamo sempre più vicini” a un accordo che potrebbe anche rafforzare il partenariato per la sicurezza Washington-Riad. Tuttavia, ha anche detto che la questione palestinese era “molto importante” per il regno, impegnandosi a “facilitare la vita dei palestinesi”. Sul tavolo ci sono due elementi dal valore altamente strategico di cui bin Salman è consapevole.

Primo, il nucleare civile: significa modernizzazione e differenziazione, anche nell’ottica di una graduale de-petrolizzazione del regno, che coincide con i progetti di sviluppo della Vision 2030 lanciata anni fa dallo stesso bin Salman — visione che ha bisogno di energia (in tutti i sensi), e il nucleare civile può essere una risposta. Secondo, l’intesa bilaterale per la difesa allo stesso tempo è fondamentale, perché l’Iran resta una minaccia (e in pochi a Riad vedono l’accordo di regolazione delle tensioni, siglato a Pechino lo scorso anno, come risolutivo e definitivo). E a Riad hanno anche avuto prova provata di cosa può significare un attacco iraniano e quanto possa essere efficace l’architettura di protezione integrata pensata dagli Usa e messa in atto durante il bombardamento che Teheran ha lanciato contro Israele.

Il viaggio di Blinken a Riad, tra mega-deal con i sauditi e tregua a Gaza

Per Blinken (e per Washington), un cessate il fuoco a Gaza è anche un vettore per tornare a parlare con insistenza del “mega-deal” con Riad. C’è in ballo un accordo che potrebbe ridefinire gli equilibri mediorientali, e non a caso il segretario insiste — dall’Arabia Saudita — appena rientrato dalla Cina

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