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Il giorno in cui l’Italia ottiene il disco verde dall’Unione Europea per una maggiore flessibilità sono molti negli ambienti governativi a sottolineare lo sforzo “senza precedenti” che è stato ottenuto dal governo di Matteo Renzi.

Unica voce fuori dal coro appare quella dell’ex premier Mario Monti che ha spiegato che, a suo parere, “quello che l’Italia ha ottenuto, con notevole abilità diplomatica, non è una cosa positiva”. Bruxelles avrebbe dovuto approvare un bonus di flessibilità “di 4 miliardi euro, legando la spesa a ‘investimenti produttivi” perché il resto del bonus sul deficit Renzi lo avrebbe usato “per fare più debito che pagheranno le future generazioni e per tagliare le tasse nella speranza di avere più voti alle prossime elezioni”.

Giudizio duro ma da Palazzo Chigi si tenta di non dare troppo seguito al giudizio dell’ex premier e la linea che passa è un’altra. “Bisogna affermare l’idea che non si debba vivere di paura e di preoccupazione soltanto, ma si debba avere il coraggio di agire”, è il nuovo mantra con cui Renzi intende spendersi nelle prossime settimane. E la sua “margherita” ha alcuni petali che potrebbero essere gettati grazie alla flessibilità ottenuta: l’anticipo pensionistico (Ape), il raddoppio del bonus bebè e il nuovo piano casa.

“Non abbiamo fatto in tempo ad incassare questo ben di Dio, mentre l’Unione Europa bastona la Spagna: e questa è già una novità perché una volta bastonavano noi”, dice a Formiche.net un economista che collabora con l’esecutivo. Già dalle pagelle europee appare evidente che insieme con il Portogallo è la Spagna il Paese su cui i giudizi della Commissione sono assai negativi, al limite delle sanzioni. A causa principalmente di un deficit che è sopra il 3% del pil e di un debito pubblico che per la prima volta ha superato il 100% del pil: questo non accadeva a Madrid dal 1909, un record europeo, secondo solo a quello dell’Irlanda, dovuto da una parte all’onere di 60 miliardi di euro contratto con il Fondo Salva Stati per il salvataggio delle banche, ma anche a un deficit di bilancio che negli anni 2008-2015 è stato in media pari al 7,7% del Pil.

Eppure la Spagna è stato il modello che molti economisti avevano indicato come esempio da seguire. Adesso appare evidente che la Commissione non abbia infierito su Madrid solo perché in attesa dell’esito delle nuove elezioni politiche che si terranno il 26 giugno. Non a caso la Commissione europea nelle sue raccomandazioni ha scritto che “in linea con i suoi doveri di monitorare l’implementazione della procedura per deficit eccessivo, tornerà sulla situazione della Spagna e del Portogallo agli inizi di luglio”. Fotografando di fatto la quarta crisi – quella istituzionale e di governo – che il Paese iberico si trova ad affrontare dopo la catastrofe immobiliare del 2008 che ha innescato la crisi finanziaria che a sua volta aveva provocato quella bancaria e il collasso del 2012.

In un certo senso è quindi anche la vittoria di Matteo Renzi che ha sempre diffidato dalla Spagna come modello economico da seguire. Una follia per il nostro premier seguire l’esempio di un paese “con il tasso di disoccupazione troppo alto (25%), una ripresa troppo lenta (anche se c’è stata), incremento del Pil ancora troppo scarso e con il gioco della riduzione del salario, immaginando di trasformare l’economia riducendo il peso della manifattura tradizionale e facendo gli stessi prodotti magari spendendo meno”. “Autorevoli commentatori dicono che dovremmo fare come la Spagna – diceva Renzi intervenendo in Senato nel settembre del 2014 – Io rispetto la Spagna, gli spagnoli… Ma ritengo di dire qui, di fronte al Parlamento, che chi propone per l’Italia un modello spagnolo, a mio giudizio schiaffeggia l’aria”.

Matteo Renzi

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