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Non c’è solo il caso Napoli, dove Matteo Renzi ha promesso di utilizzare il lanciafiamme. E non c’è soltanto l’eterno commissariamento a Roma affidato a Matteo Orfini. Il Pd è costellato di problemi in giro per l’Italia, dal profondo nord fin verso il Mezzogiorno, tra lotte intestine, commissariamenti e situazioni congelate. Alla Direzione di oggi pomeriggio il premier e segretario affronterà innanzitutto il tema partenopeo, convinto che altrove la risoluzione dei problemi sia da posticipare a dopo il referendum costituzionale. Ma nel frattempo i territori ribollono, e i due vicesegretari renziani Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani faticano a tenerli a bada.

IL VENETO IN STAND-BY

Lontano dai riflettori dei grandi media, in una terra dove le vicende del Pd non fanno audience come altrove, in Veneto i dem sono in difficoltà. Non che quella sia mai stata una regione facile per loro, per carità, però ancora non si sono ripresi dalla scoppola rimediata un anno fa da Alessandra Moretti alle regionali contro il leghista Luca Zaia. Il segretario regionale Roger De Menech si è dimesso da un pezzo ma nessuno né a Venezia né a Roma si è mai sognato di sostituirlo, lasciando il partito in una situazione di limbo che lo ha penalizzato alle ultime amministrative. Era stato convocato un congresso proprio a luglio, ma dal Nazareno sono intervenuti dicendo che ora si deve pensare al referendum, le beghe locali potevano attendere.

Nel frattempo le parlamentari Laura Puppato e Simonetta Rubinato protestano contro l’isolamento del partito dimenticato da tutti i vertici nazionali, la Moretti svolge il compito da capogruppo in Regione, i sindaci dem di capoluoghi come Treviso e Vicenza sono alle prese con il problema profughi e devono fronteggiare l’avanzata del consenso leghista. Le redini sono di fatto affidate ai sette segretari provinciali. Ma in realtà una guida non c’è.

LE FERITE LIGURI ANCORA DA RIMARGINARE

L’onda lunga della guerra fratricida tra Raffaella Paita e Sergio Cofferati non si è ancora conclusa, a un anno e mezzo dalle primarie regionali che tanti dolori hanno causato al Pd in Liguria. Le amministrative hanno regalato nuove delusioni al partito ora guidato dal commissario David Ermini, un renziano toscano mandato a mettere pace tra Ponente e Levante. Il Pd è riuscito, dopo la Regione, a perdere anche Savona dove l’ha spuntata la candidata di Toti Ilaria Caprioglio, che ha incassato anche i voti grillini al secondo turno. Nel 2017 si vota a Genova e La Spezia, e per il capoluogo ligure il Pd non sa ancora quali pesci pigliare: il mai troppo amato sindaco Marco Doria vuole ricandidarsi, in pochi nel partito sono pronti a sostenerlo. I renziani invocano le primarie per scalzarlo, il segretario provinciale della minoranza dem Alessio Terrile prova a prendere tempo. Deciderà l’asse Roma-Firenze, cioè il Nazareno di concerto con il commissario Ermini. Mentre il governatore Giovanni Toti sogna di conquistare anche il Comune di Genova.

A TORINO CONGRESSO ANTICIPATO

Inevitabile la resa dei conti a Torino, una delle più importanti città che il Pd è riuscito a perdere dopo 5 anni di buona amministrazione (così riconosciuta da più parti) targata Piero Fassino. Il congresso provinciale del partito che avrebbe dovuto tenersi nel 2017 è stato anticipato al prossimo settembre (quindi prima del referendum costituzionale), come ha dichiarato nei giorni scorsi il segretario Fabrizio Morri che non ha intenzione di ricandidarsi. L’ex sindaco Fassino si è detto d’accordo con questa decisione. Nel frattempo non si placano le tensioni interne a suon di analisi post-sconfitta, condite dalla richiesta di una riflessione seria e approfondita sulle ragioni della sconfitta avanzata da due big del partito torinese come Stefano Esposito e Stefano Lepri.

STALLO IN SARDEGNA PER IL POST SORU

Ad attendere notizie certe per il suo futuro c’è anche il Pd sardo, che dopo le dimissioni dell’ex segretario regionale Renato Soru arrivate per la condanna per evasione fiscale, ora necessita di una nuova guida. Scalpitano il consigliere regionale Piero Comandini, il senatore Giuseppe Luigi Cucca e l’ex deputato Giulio Calvisi, tutti legati alla minoranza che nel 2013 aveva candidato Ignazio Angioni contro lo stesso Soru; a uno di questi tre dirigenti Renzi potrebbe affidare la gestione a tempo del partito, fino al congresso in programma nel 2017, sempre che anche sull’isola non venga in mente di anticiparlo.

DA NAPOLI A COSENZA, LE GRANE NEL MEZZOGIORNO

A fare più notizia nelle settimane scorse è stata la débacle del Pd a Napoli, perché lì il partito è letteralmente crollato nei consensi arrivando dietro anche al centrodestra (oltre che a Luigi De Magistris). Renzi ha invocato il lanciafiamme, oggi si scoprirà se la decisione presa sarà quella di commissariare solo il Pd a Napoli città, oppure in tutta la provincia (con buona pace del segretario Venanzio Carpentieri che non ci sta a fare da capro espiatorio) oppure se mettere in discussione anche la segretaria regionale Assunta Tartaglione. Servirebbe una figura esterna al contesto, lontano dalle lotte fratricide e libera dai vari capi bastone.
L’altra sconfitta bruciante arrivata nel Mezzogiorno è stata quella di Cosenza, con la riconferma del sindaco di centrodestra Mario Occhiuto. L’alleanza con Denis Verdini non ha agevolato il candidato del Pd Carlo Guccione, e dentro al partito c’è già chi ha chiesto la testa del segretario regionale Ernesto Magorno. Probabile che arrivi un commissario per la provincia cosentina.
Nel frattempo, sempre per restare al Mezzogiorno, il neo segretario del Pd pugliese Marco Lacarra appena insediatosi ha subito commissariato la federazione di Taranto, dopo lo scioglimento dei consigli comunali di Martina Franca e Palagiano.

Matteo Renzi

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