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Il Dipartimento della Guerra statunitense comunica che Pete Hegseth ha incontrato per la prima volta il suo omologo cinese, il ministro della Difesa Dong Jun, dall’inizio del secondo mandato della presidenza Trump. Il momento di dialogo incrociato tra Washington e Pechino appare particolarmente denso di segnali: mentre i vertici dei due apparati militari si incontravano, i leader Donald Trump e Xi Jinping tracciavano il perimetro per il “consenso” generale su come gestione della competizione strategica. Un’intesa preliminare, che affronta alcuni aspetti economici e commerciali ma lascia irrisolta la dimensione più ampia del confronto tra le due principali potenze globali. Per dire, “Taiwan non è mai stata menzionata. Non è stata discussa”, ha affermato Trump.

È opinione diffusa tra analisti e policy planner che quella che Trump definisce “G2” — irritando molti attori che cercano un proprio spazio nella multipolarità emergente, mentre per Pechino è la consacrazione come parte della leadership globale a due — resti una relazione destinata, nel breve e nel lungo periodo, a essere caratterizzata da rivalità strutturale. Lo dimostra, per esempio, il fatto che nell’incontro Hegseth–Dong il Pentagono abbia posto l’accento su temi delicati, non emersi nel dialogo tra i due leader (qualcuno direbbe “ovviamente”, visto l’interesse preferenziale per la sfera economica dell’americano, che incontro la necessità di evitare di alzare troppa attenzione sulla geopolitica del cinese).

Durante il faccia a faccia, avvenuto a margine della riunione dei ministri della Difesa dell’Asean Plus, “ho sottolineato l’importanza di mantenere un equilibrio di potere nell’Indo-Pacifico e ho espresso le preoccupazioni degli Stati Uniti per le attività della Cina nel Mar Cinese Meridionale, intorno a Taiwan e verso gli alleati e i partner statunitensi nella regione”, ha dichiarato Hegseth. L’incontro è stato definito “buono e costruttivo”: il capo del Pentagono ha spiegato che gli Stati Uniti “non cercano conflitti”, pur tuttavia “continueranno a difendere con fermezza i propri interessi e a garantire di avere le capacità necessarie nella regione per farlo”.

Parole che arrivano mentre Washington rafforza il proprio fronte asiatico: il segretario americano ha appena firmato un’intesa di cooperazione decennale con l’India, Trump ha aperto alla possibilità che la Corea del Sud si doti di sottomarini nucleari, e lo “Strong Japan” di Sanae Takaichi rilancia sugli investimenti militari.

Tirare in ballo Taiwan, nel mezzo di questa architettura geopolitica in costruzione non è un gesto banale per il capo del Pentagono — tanto più se si considera la centralità del tema per Xi Jinping. Sul punto, il principale riferimento accademico è oggi Joseph Torigian, storico della American University di Washington e autore di “The Party’s Interests Come First: The Life of Xi Zhongxun, Father of Xi Jinping”, pubblicato dalla Stanford University Press quest’anno. Una ricerca che esplora la figura di Xi Zhongxun, mettendo in luce il suo complesso rapporto con Taiwan.

Quanto di quell’eredità risuona oggi nell’approccio di Xi Jinping all’isola? E quale ruolo assume Taiwan nel nuovo slancio Trump–Xi? “All’interno del gruppo [del padre di Xi] esistevano diversi tipi di esperti. Xi Zhongxun era una delle figure di spicco, se non la principale, del cosiddetto Fronte Unito, che guidava le operazioni di influenza del Partito contro i gruppi non allineati al PCC, tra cui i nazionalisti durante la guerra civile”, spiega Torigian, intervistato a margine dell’evento“Turning Tides”, co-organizzato dalla Johns Hopkins SAIS e dall’Università di Bologna, di cui Formiche è stato media partner.

“Questo significa — continua — che Taiwan rappresenta un affare incompiuto non solo per la nazione, ma anche per la famiglia Xi. Eppure Xi avrebbe anche appreso, attraverso l’esperienza del padre, che una politica efficace non riguarda solo la forza: si tratta di trovare persone disposte a lavorare con te. Come figlio di un rivoluzionario, l’ultima cosa che Xi Jinping vuole è combattere una guerra che metta a rischio la sopravvivenza del Partito.”

Il Partito — le sue ritualità e la sua storia — pesa molto su Xi, anche se il recente Quarto Plenum ha confermato l’estrema centralizzazione del potere intorno al leader. Alla luce di “The Party’s Interests Come First”, come interpretare questa fase di consolidamento personale? È una prosecuzione di modelli di lunga data nella cultura politica del Partito o rappresenta qualcosa di qualitativamente nuovo nella governance cinese? “Spesso si descrive il modello di governo di Xi Jinping come una rottura con la tradizione di Deng Xiaoping, che avrebbe promosso una leadership collettiva e introdotto guardrail istituzionali”, spiega il professore. “Ma nel mio libro mostro come, anche durante l’era Deng, il Partito Comunista Cinese fosse un sistema straordinariamente favorevole ai leader. Deng rimosse non solo il successore di Mao Zedong, Hua Guofeng, ma anche due potenziali successori che egli stesso aveva promosso”.

In definitiva, osserva Torigian, “è sempre stato molto difficile per i membri del Politburo e del Comitato Centrale mantenere la fiducia del leader supremo, anche quando si mostrano estremamente prudenti”. È su questo incrocio — tra dinamiche interne e rivalità strategiche — che vanno lette le evoluzioni in corso. Anche dietro a Trump emergono interpretazioni diverse del confronto con la Cina. E il dossier Taiwan resta la sintesi più densa di questa doppia dimensione, interna e globale.

Xi Jinping vuole Taiwan e pensa al Partito. L’analisi di Torigian

Il primo incontro tra Pete Hegseth e Dong Jun segna la riapertura del canale militare diretto tra Stati Uniti e Cina sotto il secondo mandato di Donald Trump. Arriva in un momento di dialogo incrociato ad alto livello tra Washington e Pechino, con i due leader impegnati a definire un’intesa di massima sulla gestione della competizione strategica. Ma sotto la superficie diplomatica, c’è una dimensione interna. Torigian (AmUni) spiega il ruolo del Partito e il peso di Taiwan, sensibile sovrapposizione di interessi

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