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Il capo dello Stato Islamico nel Sinai, Abu Osama al Masri, ieri è tornato a rivendicare l’abbattimento dell’aereo russo precipitato sabato scorso sul Sinai, i cui 224 passeggeri sono tutti morti. Conferma quindi la prima rivendicazione avvenuta già poche ore dopo il disastro, stavolta con un audio di circa quattro minuti (in precedenza era stato diffuso un messaggio scritto).

IL MESSAGGIO

Al Masri non fornisce per il momento prove dirette sull’abbattimento, ma lancia una sfida agli investigatori: “E’ opera nostra, dimostrate il contrario se ci riuscite”. È una mossa mediatica molto forte, visto che al momento nessuna delle teorie fin qui sostenute regge più di tanto, e l’idea che l’aereo possa essersi spezzato in volo, trova un unico precedente, il disastro di Lockerbie del 21 dicembre 1988: in quell’occasione il Boeing 747 della Pan Am effettivamente si spezzò in due tronconi sopra il cielo della cittadina scozzese, solo che fu opera di una bomba che poi si scoprì piazzata a bordo dai servizi segreti libici di Muammar Gheddafi. “Morite di rabbia”, dice al Masri nell’audio, perché siamo stati noi ad abbatterlo: l’espressione, ha fatto notare su Twitter il giornalista del FoglioDaniele Raineri, richiama un versetto del Corano, ed è molto spesso ripetuta nei messaggi lanciati dalla Provincia del Sinai dell’Isis. La pressione messa dal leader jihadista sugli investigatori che stanno analizzando le scatole nere è altissima: “Rovescia l’onere della prova” su di loro, scrive Raineri; in questo modo “la rivendicazione diventa un atto diverso, più perfido o se si preferisce perverso”.

QUESTIONE DI SICUREZZA

Anche se molti analisti hanno pensato fin da subito che la rivendicazione possa essere un tentativo dei terroristi di intestarsi il disastro, causato invece da un’anomalia tecnica, la seconda rivendicazione nel giro di pochi giorni ha prodotto contraccolpi politici sul fronte della sicurezza aerea. L’Isis difficilmente rivendica atti non compiuti. In questo, dunque, un altro video di rivendicazioni, che mostra festeggiamenti in strada per la riuscita dell’attacco, e diffuso dalla provincia di Niniveh del sedicente Califfato, può essere un dettaglio non secondario, visto che la Wilayah di Niniveh è quella che comprende Mosul, capitale irachena del Califfato. Dunque, spiega Raineri, “se lo Stato Islamico sta cercando di imbrogliare allora non è un tentativo di alcuni suoi membri alla periferia del Califfato, ma è un’iniziativa approvata dalla leadership centrale”.

È sotto quest’ottica che il Regno Unito ha deciso di sospendere i voli per il Sinai, e stamattina la reporter del Times Deborah Haynes ha twittato che Londra avrebbe deciso di inviare un piccolo team militare per valutare la sicurezza dell’aeroporto di Sharm el Sheikh. Siamo alla vigilia della visita londinese durante la quale il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi incontrerà il premier David Cameron, e i britannici non vogliono “sorprese”.

LE INFO DELL’INTELLIGENCE

Nonostante il presidente egiziano abbia già cassato le rivendicazioni del gruppo estremista nel Sinai come attività di “propaganda” e Mosca continui a non sbilanciarsi troppo, chiedendo più tempo per proseguire con le indagini (i due Paesi sono impegnati in importanti operazioni anti terrorismo e cercano, per alcuni analisti, di scongiurare il danno di immagine dell’attentato), Londra e Washington sembrano sempre più convinte che a causare la caduta dell’aereo sia stata una bomba a bordo. Philip Hammond, ministro degli Esteri britannico, ha detto: “Siamo giunti alla conclusione che esiste un’alta probabilità che un ordigno sia esploso a bordo dell’aereo”. Probabilità rilanciata anche da Associated Press, che cita una fonte interna all’Amministrazione: la bomba a bordo è “uno scenario altamente probabile”. Qualche giorno fa, i media americani parlavano di un satellite Usa che aveva registrato una vampata di calore nei cieli in cui l’aereo sarebbe esploso. La segnalazione potrebbe essere compatibile sia con la deflagrazione di un ordigno a bordo, sia con l’esplosione di un motore per guai meccanici, circostanza diffusa come la più attendibile dall’egiziano Al-Masry Al-Youm, a cui i media internazionali danno credito, perché si pensa che il quotidiano sia in possesso di fonti dirette tra coloro che stanno esaminando reperti e scatole nere. Nel frattempo sono uscite anche altre informazioni che riguardano le prime autopsie, un cui si descriverebbero segni di un’esplosione sui corpi; inoltre i detriti sono sparsi su un raggio molto ampio: anche in questo caso, sono aspetti che possono collimare sia con l’esplosione di un motore sia di una bomba.

BOMBA (O NON BOMBA)?

Per gli americani, dovesse essersi effettivamente trattato di un attentato, le ipotesi sono due. O un passeggero-kamikaze introdotto a bordo con l’esplosivo (c’è chi ha evocato le tecniche di Ibrahim al Asiri, l’uomo di Al Qaeda in Yemen che era riuscito a studiare micro-cariche ad alto potenziale, nascoste anche negli indumenti intimi), magari superando i controlli confondendosi tra i turisti (potrebbe essere stato direttamente un jihadista russo, nel caso). Oppure, la pista ritenuta più plausibile, è che l’ordigno sarebbe stato fatto entrare nella stiva, magari insieme al carico pasti. Si crede anche che potrebbero esserci stati complici direttamente in pista a favorirne l’imbarco.

LA SITUAZIONE DEL SINAI

Le istanze jihadiste nel Sinai si sono cominciate a diffondere da diversi anni, anche come denuncia verso la distanza dimostrata dal governo centrale egiziano nei confronti degli interessi delle popolazioni della zona: in questo hanno incontrato anche il consenso dei clan locali. La penisola, come ha fatto notare Julie Norman in un articolo ripreso da Newsweek è vittima di importanti disparità, perché mentre il governo stanzia fondi per le attrazioni turistiche del sud, il nord è pesantemente trascurato (l’economia si regge, o reggeva, su un mercato di contrabbando attraverso i tunnel che collegano il Sinai con Gaza: tunnel che negli anni, dopo la presa del potere di al-Sisi, sono stati distrutti, perché considerati anche vie di finanziamento dei terroristi). La Wilayah del Sinai dello Stato Islamico non è soltanto un gruppo affiliato all’Isis. Il gruppo estremista del Sinai, una volta si chiamava Ansar Beir al Maqdis, poi dal 10 novembre del 2014 ha giurato fedeltà al “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi ed diventato una “provincia” del Califfato, cioè una sua parte a tutti gli effetti. Il leader locale, al Masri, è a capo dell’organizzazione jihadista egiziana. Nel secondo messaggio di rivendicazione, ha ricordato che l’aereo è caduto nel diciassettesimo giorno del mese di Muharram: lo stesso del giuramento al “califfo” (il 10 novembre gregoriano dell’anno scorso coincide con il 31 ottobre di quest’anno nel calendario islamico). L’attacco sarebbe stato una sorta di festeggiamento per il primo anniversario del Sinai sotto al “Califfato”.

Tutte le rivendicazioni dell'Isis sull'aereo russo precipitato nel Sinai

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