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Le critiche alla premier Giorgia Meloni piovono in questi giorni sulla sua posizione più filo americana che pro europea in un momento cruciale della Ue, quando l’unione dovrebbe decidere se abbandonare le decisioni all’unanimità per passare a quelle a maggioranza. Lei ha sostenuto di non volere l’unanimità, per mantenere le sue prerogative nazionali; quindi, non vuole riformare le inefficienze strutturali della Ue. Allo stesso tempo, come hanno rilevato tanti, ha criticato le inefficienze delle Ue.

La posizione è illogica ma sottende una preoccupazione pragmatica, non detta (perché non metterla sul tavolo esplicitamente?) eppure profonda e vera. La Ue è in sostanza una invenzione dell’America e storicamente non si è mai riformata senza l’approvazione americana.
L’unica volta che ha dato una spallata, approvando l’euro quasi a tradimento, agli inizi degli anni ’90, poi ci sono state conseguenze pesanti. Gli europei hanno dovuto supplicare l’America a intervenire nella guerra in Jugoslavia perché non trovavano la quadra politica fra loro e non volevano mandare loro uomini al fronte. In cambio rinunciarono a un rafforzamento politico interno e allargarono l’unione a est. Cosa che diluì l’unione e impantanò per decenni il processo decisionale.

Oggi il cancelliere tedesco Frederick Merz spinge per maggiori poteri all’unione sopra gli Stati nazionali. È un cambio esistenziale per la Ue e se passasse avrebbe effetti giganteschi a livello globale, perché la Ue avrebbe varcato davvero il Rubicone di una unione politica. Ma proprio per questo un tale passo non può essere preso senza un accordo profondo con gli Stati Uniti, di fatto membro ombra della Ue, epicentro dei processi globali e in prima linea nello scontro in corso con la Cina, la più grande sfida complessiva mondiale dai tempi della scoperta dell’America e della circumnavigazione del globo.

Qui gli Usa hanno richieste apparentemente contrastanti in realtà coerenti e legittime. Gli Usa chiedono maggiore unità nel mercato europeo, ottimizzazioni e tagli alle duplicazioni nelle spese militari. Ma temono anche un nuovo coagulo di potere continentale che trovi la sua ragione di essere nella contrapposizione con Washington. Non sono ugge. Il secolo scorso gli Usa hanno combattuto due guerre calde e una fredda per minacce che venivano tutte dall’Europa.

Oggi però la sfida viene dalla Cina. In teoria la Ue potrebbe avere una buona ragione di pensare a un rafforzamento dell’unione non guardando a Washington ma puntando gli occhi a Pechino. Cioè: cosa può fare la Ue per aiutare gli Usa nell’affrontare la Cina? Cioè non solo la Russia o l’Iran, in fondo questioni contingenti e non esistenziali. Su questa base forse si può aprire un tavolo con Washington per dire: gli Usa hanno bisogno di una unione politica della Ue e il suo attivo aiuto per affrontare il lungo scontro che l’aspetta con la Cina. Forse su questo argomento si potrebbero cercare orecchie più disponibili a Washington.

I tempi potrebbero essere maturi. La Ue affronterà un’ondata di esportazioni cinesi in più, dopo le restrizioni americane. Industrie europee hanno cominciato a soffrire per la scarsità di terre rare cinesi. Bisogna arrivare a politiche più coordinate tra Paesi europei e anche per capire come affrontare triangolazioni di merci, non solo export diretto dalla Cina. Su questo Merz, già avvocato di affari americano, ha una posizione unica per muoversi.

È un terreno delicato, pratico e non illogico, in cui bisognerebbe avanzare con prudenza e saggezza. Qui la Meloni può svolgere un ruolo importante, visto il suo ottimo rapporto umano con Trump e l’importanza che egli dà ai rapporti umani.

Ma per questo, presidente Meloni lo consenta, forse occorre anche cambiare registro nel Paese. Nelle ultime settimane l’Italia è stato teatro di episodi preoccupanti. Prima ci sono stati scontri violenti nei cortei per la pace. Pare ci siano centinaia di Hamas infiltrati in Italia. Poi è arrivato anche l’attentato con una bomba contro il famoso giornalista Sigfrido Ranucci. È insensato e irresponsabile accusare il governo del clima dell’attentato, come ha fatto la leader del Pd Elly Schlein. Ma l’attentato più significativamente dice che il Paese è in momento di grande fragilità. Essa può essere esacerbata se il premier non cerca l’unità del Paese, non si appella alla concordia, ma invece continua le polemiche e le esaspera.

Qui ci può essere una falsa visione dell’America. Il presidente Usa Donald Trump ha deciso di governare non cercando l’unità nazionale (come hanno fatto tantissimi dei suoi predecessori) ma invece cercando la vittoria della sua parte contro l’altra. Forse Trump avrà ragione o forse no, ma certo l’America non è l’Italia e viceversa.

L’America storicamente ha attraversato periodi di grandi divisioni per ritrovare una nuova base di unità. È un processo già visto e storico dove l’unità ne esce rafforzata. L’Italia, non ha tali esperienze e le divisioni politiche in passato hanno rischiato la spaccatura politica del Paese. Oggi potrebbe essere la stessa cosa. Inoltre, molti sospettano che la guerra ibrida russa abbia proprio in Italia il suo principale campo di battaglia.

Per questo Meloni deve eliminare i toni velenosi e aspri verso gli avversari, perché, da governo, fanno più male al Paese delle accuse scriteriate dell’opposizione. L’opposizione con le sue posizioni balzane non andrà mai al governo, ma proprio per questo non c’è bisogno di spingere oltre la cosa, anzi. Come in ogni lotta, se l’avversario spinge, tu ti fai da parte e lui cade. Non spingi di più contro. Se lui spinge e tu spingi, non si sa chi cade. Ne va della continuità politica del governo Meloni, e, più importante, del bene del Paese.

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L’opposizione con le sue posizioni balzane non andrà mai al governo, ma proprio per questo non c’è bisogno di spingere oltre la cosa, anzi. Come in ogni lotta, se l’avversario spinge, tu ti fai da parte e lui cade. Non spingi di più contro. Se lui spinge e tu spingi, non si sa chi cade. Ne va della continuità politica del governo Meloni, e, più importante, del bene del Paese

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