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“Forse una guerra tornerà e tu dovrai decidere chi sei” – Alberto Fortis, “Brian Francisco”.

 

Nemmeno un evento tragico e straripante come la mattanza di Parigi ad opera degli islamisti militanti fino in fondo che, seguendo il Corano, come ha spiegato Magdi Cristiano Allam, scannano gli “infedeli”, può sbrecciare la solidità del copione mediatico e collettivo. Quale?

Lo stiamo vivendo ogni giorno, di istante in istante, con la monotonia della scansione di certe giornate uggiose, perché tra poco, vedrete, l’informe nichilismo, autunnale e permanentemente appiccicato sul dorso del decrepito Occidente, dominerà incontrastato, e allora anche quel sangue, quella paranoia collettiva diventerà sfumatura da rimuovere, come sempre. Il copione recita il solito soggetto, schemi meccanici: fino ad oggi è ancora un icastico e dolente “Je suis Charlie” – ma perché? Non basta il fatto in sé? A che serve identificarsi con l’altro, a qualunque costo, se noi non ci siamo? -, ma sta già mutando, con intrecci barocchi, la sinfonia, come la goccia instancabilmente ripetuta di Chopin, che ora annuncia: “Siamo in guerra”.

Due strategie della rassicurazione che si stringono, per poi doversi congedare dalla scena: il palcoscenico è abitato da fantasmi. Non personaggi in cerca d’autore, questa sarebbe già nostalgia con accenti umani, qui il nodo è la stanchezza ripetitiva di mantra che non dilatano né cuore né cervello. E’ tutto piatto: come questo Occidente. Piatto. Un elettroencefalogramma piatto.

L’Europa, da decenni, si autopercepisce come colpa originale. Finge orgoglio curiale per aver vinto una guerra e finge di non doversi più preoccupare se non che dello sviluppo e della pace dei popoli ma intanto il Leviatano nichilista sta ingoiando tonnellate di vita senza restituire un’oncia di respiro ai corpi e alle anime. Occidente è, allora, davvero Aben-Land, terra del tramonto?

Ripetere stancamente mantra e luoghi comuni, instaurando il luogocomunismo più sciatto e insieme violento, perché brutalmente avverso ai pensanti che sono altro da questa “pappa del cuore”, sterile e infantile, non ci salverà. Il punto è che il cedimento alla secolarizzazione e all’isterilimento delle radici cristiane sta dando i suoi oscuri frutti: il deserto avvelenato, mortifero, angosciante. Masse urlanti e piangenti che non si accorgono che Parigi non solo vale la Nigeria, massacrata dalle cellule islamiche salafite di Boko Haram, e Boko Haram vuol dire proprio “l’educazione occidentale è peccato”, ma si tiene con le scellerate manovre dei governanti nichilisti e insipienti – perché il nichilista non lo sa, ma è un ingenuo perfetto, come invece scriveva a ritmo incessante Dostoevskij -, tutti presi ad inventare quella narrazione della violenza che fu poi definita “primavera araba”, l’anticamera dello jihadismo in forma “foreign fighters”; tutte vicende che hanno condotto alla spoliazione di sovranità legittimamente elette, alla deriva in Siria, quindi alla nascita di Isis, con tanto di bastonatura della Russia di Putin, baluardo dell’Occidente, e infine all’elevazione ultima a retorica di stato di indecenti idiozie sull’Islam. Questo Occidente non ha più bisogno di interrogarsi sulla possibilità della sconfitta: ha già perso. E’ un cadavere che deambula e neanche troppo bene. C’era una volta l’eroico nichilismo tragico; dopo è venuto quello gaio, descritto da Augusto Del Noce e Giovanni Testori, due giganti cattolici che sapevano quale dannata razza di problema fosse la modernità; oggi c’è soltanto la lacrimuccia del presidente di turno che non si differenzia da quella, istantanea e subito niente, della ragazzina che piange qualcosa che poi la condurrà ad sventolare su Twitter, Facebook e un’altra mezza dozzina di social il mantra dei potenti senza più potere: “Je suis Charlie”.

Quando fra un presidente e una quindicenne non c’è più differenza percepibile ad occhio, siamo al nichilismo istantaneo, la nuova forma di nichilismo oggi in auge: tutto è istante, si infarina e si decompone in un istante, poi è solo copione e chimera, insieme.

Loro sanno essere violenti militanti e non annaspano di fronte al nemico, che diprezzano, tanto che si considerano agenti della “sottomissione” – questo vuol dire Islam: sottomissione -; noi, di istante in istante, twittiamo, poi piangiamo, andiamo in palestra alle 17, chattiamo con le amiche alle 19, ceniamo e, davanti al tg delle 20, tiriamo fuori la grinta dei perdenti, a partita conclusa: siamo in guerra.

Gran parte della Chiesa segue la vicenda teatrale del naufragio occidentale con tante condoglianze al cadavere e qualche accentuata ostinazione di benevolenza verso i buoni musulmani “moderati”, magari chiamati in causa per dissociarsi da qualcosa che non hanno compiuto e i quali, non dissociandosi, vengono infine inscritti nella black list, ma solo per un istante, perché qui da noi i saldi di fine stagione sono sempre aperti. Comprano anche loro, i musulmani “buoni”, ai quali offriamo chiacchiere e sorrisi finti, invece di soda e cristiana verità e, di seguito, laica degnazione di comunità che sa a cosa/chi guardare.

Ma state comodi, signori, basta saperlo e soprattutto dirlo, no? Ma certo sì, ok…siamo in guerra.

Loro, Allah Akbar: e noi?

  "Forse una guerra tornerà e tu dovrai decidere chi sei" - Alberto Fortis, "Brian Francisco".   Nemmeno un evento tragico e straripante come la mattanza di Parigi ad opera degli islamisti militanti fino in fondo che, seguendo il Corano, come ha spiegato Magdi Cristiano Allam, scannano gli "infedeli", può sbrecciare la solidità del copione mediatico e collettivo. Quale? Lo…

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