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Quando si nomina Google i concorrenti cominciano subito a preoccuparsi. Solo che occorre capire chi sono questi concorrenti. Altri motori di ricerca e Internet companies? Le Telco? Perché adesso a sudare freddo sono persino i gestori di fondi. Google infatti ha commissionato a una società dei servizi finanziari una ricerca per capire con quali modalità potrebbe entrare, nel giro di un paio d’anni, nell’industria dell’asset management.

Il colosso di Mountain View non ha ancora fatto nessuna mossa concreta, ma il solo fatto che sia interessata alla gestione di fondi mette in allarme gli operatori tradizionali, già alle prese con le difficoltà di tenere il passo con le evoluzioni della tecnologia e che ora temono che i loro consolidati modelli di business vengano spazzati via.

Un top manager di una grande società americana che gestisce fondi ha detto al Financial Times ad aprile che il suo “più grande timore” è che Google possa decidere di entrare nel settore. E a una conferenza organizzata sempre dal Ft a Londra questo mese, Graham Kellen, capo della tecnologia di Schroders, una delle maggiori fund houses europee, ha ribadito: “Questo è per noi un motivo di preoccupazione”.

Google da tempo ha dimostrato di voler essere molto più che un motore di ricerca. Ha per esempio una divisione venture capital (Google Ventures, GV) che ha investito in oltre 250 aziende, da Uber a Kensho, da Cloudera a DocuSign. Google fornisce a queste start-up il cosiddetto seed o venture capital. Google Ventures è sbarcata a luglio anche in Europa, dove si è detta pronta a “supportare la nuova generazione di imprenditori” e ha lanciato un venture fund con una dotazione iniziale di 100 milioni di dollari. “Vogliamo investire nelle idee migliori dei migliori imprenditori d’Europa e aiutarli a concretizzare queste idee”, ha scritto Bill Maris, Managing partner di Google Ventures.

Entità separata da Google Ventures è Google Capital, un “growth equity fund”, praticamente un veicolo finanziario che interviene a sostenere la crescita delle aziende in cui investe. Google Capital di recente ha fatto il suo primo investimento in Cina in una società chiamata InnoLight Technology, produttore di componenti ottici per server. Insieme alla società del venture capital cinese Lightspeed China Partners, Google Capital ha guidato un round di finanziamenti nella InnoLight per un totale di 38 milioni di dollari. Finora Google Capital aveva investito solo negli Usa (per esempio nella start-up SurveyMonkey e nella società finanziaria Lending Club Corp) e ha all’attivo dieci operazioni.

Google investe anche in attività finanziarie più convenzionali, come i titoli di Stato. Inoltre, nel 2010 ha stupito la Silicon Valley aprendo un vero trading floor con specialisti di gestione dei portafogli azionari e analisti finanziari per gestire i suoi investimenti e il suo contante, che si calcola ammonti a circa 58 miliardi di dollari. Il compito della finanziaria di Google è migliorare i ritorni sugli investimenti e rendere il contante il più possibile redditizio.

Certo, passare da queste attività collaterali a un ingresso da protagonista nel settore della gestione fondi non è così facile, fa notare Campbell Fleming, chief executive della fund house britannica Threadneedle: “Google troverà che il mercato del fund management ha forti barriere all’ingresso”. Concorda Catherine Tillotson, managing partner di Scorpio Partnership, società di wealth management: “Si tratta di entrare in un’industria fortemente regolata. Esiste forse un sottoinsieme di investitori che si affiderebbe a Google, ma penso che la grande maggioranza voglia una relazione con un’entità capace di fornire informazioni di alto valore e qualità e vasta conoscenza del mercato ed è difficile che si rivolga a Google per questo”.

Tuttavia, nota Fleming, Google ha dalla sua un brand molto noto con cui potrebbe attrarre a comprare fondi gli investitori retail che finora i gruppi tradizionali del fund management non hanno saputo avvicinare. Inoltre, uno studio di PwC ha indicato che l’incapacità dei gestori di fondi di tenere il passo con l’evoluzione tecnologica creerà opportunità per aziende come Apple, Twitter e Amazon che potrebbero riuscire a far breccia in questo mercato.

Infine, i grandi gruppi di Internet che si allargano nel fund management potrebbero offrire qualche opportunità anche agli attori incumbent, secondo David Stevenson, capo del business development di Baring Asset Management. “Google o Facebook potrebbero fare un sacco di soldi distribuendo i fondi di terzi”, sostiene Stevenson. “Comprerei un fondo di Google? No. Ma comprerei un fondo distribuito da Google? Assolutamente sì”.

Per inciso, va notato che intanto il colosso cinese dell’e-commerce Alibaba, appena quotatosi in Borsa con un’operazione-record, sta aprendo una banca in Cina: il regolatore China banking regulatory commission ha dato l’autorizzazione a operare come banca sul mercato nazionale a un’affiliata dell’azienda di Jack Ma, che aprirà una sede nella ricca città di Hangzhou, sulla costa est, dove anche Alibaba ha i suoi quartieri generali. La banca di Alibaba si chiamerà  Zhejiang Internet Commerce Bank e sarà creata in partnership con Fosun International, uno dei maggiori gruppi industriali privati cinesi, con l’obiettivo di “soddisfare principalmente le necessità di investimento e finanziamento delle micro-imprese e dei consumatori”.

“La nuova piccola banca di Alibaba non andrà a toccare i clienti esistenti delle grandi banche consolidate, ma competerà per raggiungere nuovi clienti”, spiega Zou Hengchao, analista di Minsheng Securities. “Alibaba può sfruttare il vantaggio portato dai suoi Big data, cioè i dati interni derivanti dalle transazioni che avvengono sul suo sito, per valutare i rischi. Potrà così trovare clienti di piccole o anche micro-dimensioni”.

Ora Google si dà anche alla finanza (e non è sola)

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