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A Bruxelles è infine arrivato il D-Day. Al summit dei leader dei Paesi Membri dell’Ue si è finalmente trovato l’accordo sull’approvazione del pacchetto di aiuti da 50 miliardi di euro per l’Ucraina. Il sostegno verso questo provvedimento era quasi unanime, con tutti i Paesi-membri che avevano già dichiarato la loro posizione favorevole nei confronti del pacchetto di aiuti. Tutti tranne uno. La posizione contraria dell’Ungheria di Viktor Orbàn era stata sufficiente a bloccare il via libera alla tranche di aiuti per Kyiv. Ma durante la giornata di oggi i leader riuniti sono riusciti a superare il veto posto da Budapest. Secondo quanto riportato dal presidente del Consiglio Europeo Charles Michel, l’intervento di un gruppo ristretto di personalità (comprendente lo stesso Michel, la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e i leader di Francia, Germania, e Italia) è stato fondamentale nel persuadere Orbàn a rivedere la sua posizione. Non è ancora chiaro se l’Ungheria abbia ricevuto una contropartita (sembra che Budapest mirasse sia a una revisione del pacchetto stesso che al soddisfacimento di richieste slegate dalla questione in sé) in cambio del suo nulla osta.

Ma il superamento di questo ostacolo non vuol dire che in futuro non emergeranno ulteriori complessità. E Bruxelles non è l’unico teatro di scontro sul conflitto ucraino. Negli Stati Uniti un pacchetto di aiuti da 111 miliardi destinato non solo all’Ucraina, ma anche a Taiwan e a Israele continua dopo mesi a rimanere impantanato al Senato a causa dell’ostruzionismo di una componente del Partito Repubblicano; lo stesso Segretario Generale della Nato Jens Stoltenberg si è recato a Washington nel tentativo di sbloccare quest’impasse.

E anche a Kyiv il fronte interno ribolle. Negli ultimi giorni le tensioni tra il Comandante in Capo delle forze armate ucraine Valerii Zaluzhnyi e il presidente ucraino Volodymyr Zelensky si sono accresciute sempre di più, in seguito alla diffusione delle notizie (rilanciate sia da organi di stampa che da membri dell’opposizione) su un possibile rimpiazzo del primo da parte del secondo.

“Già da diverse settimane le visioni di Zaluzhny e Zelensky sul futuro dell’Ucraina si sono poste in contrapposizione. L’origine di questi dissidi risale all’ottobre dello scorso anno, in occasione della pubblicazione dell’articolo di Zaluzhny sull’Economist, in cui il generale delineava un’evoluzione delle dinamiche della guerra con la Russia”, spiega a Formiche.net Victoria Vdovychenko, direttrice del programma “Sicurezza” del Centre for Defence Strategies. Una realtà che sicuramente non andava a vantaggio di Zelensky, che infatti vede diminuire i propri consensi da novembre del 2023. Mentre quelli di Zaluzhnyi rimangono stabili. E questa contrapposizione di interessi politici impedisce un dialogo su questioni di carattere puramente militare. “Da parte popolare, la sostituzione di Zaluzhnyi non è ben vista: non si crede che valga la pena sostituire il comandante a guerra in corso, soprattutto alla luce dei successi riportati e dell’esperienza accumulata combattendo con forze russe più o meno regolari durante gli ultimi dieci anni”.

Le tensioni tra i due vertici ucraini sono un segno e una conseguenza della difficile congiuntura che l’Ucraina sta attraversando in questo momento. Mentre sul campo di battaglia lo stallo prosegue, con minime variazioni della linea del fronte, le forze ucraine esauriscono lentamente le proprie scorte di munizioni. E con il sostegno finanziario e militare dell’Occidente che diventa sempre più incerto, gli scenari all’orizzonte risultano tutt’altro che rosei.

Buone notizie da Bruxelles per Kyiv, ma in Ucraina rimangono i malumori

Il summit tenutosi a Bruxelles ha visto l’Ungheria ritirare il veto posto sinora sul pacchetto d’aiuti. Una buona notizia per l’Ucraina, che in questo momento sta assistendo al confronto tra il suo massimo vertice politico e quello militare

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