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Nella giornata di martedì, un giudice dello Stato del Delaware, Kathaleen McCormick, ha sentenziato che il pacchetto di retribuzioni da record di Elon Musk per Tesla, pari a circa 56 miliardi di dollari, potrebbe essere bloccato, definendo il compenso “una somma non verificabile” e non equa per gli azionisti, secondo quanto riportato dai media americani. Le azioni di Tesla – già vessate da una deludente investor call la settimana scorsa – sono scese del 3,7%.

La sentenza ha così spazzato via il più grande pacchetto di dividendi del capitalismo americano degli ultimi decenni. Il giudice ha ritenuto che fosse stato negoziato dagli investitori che sembravano troppo legati al ceo e alla sua promessa di un importante payback considerando l’enorme crescita dell’azienda. L’opinione della McCormick segue una contestazione di un azionista di Tesla. “Non incorporate mai la vostra società nello Stato del Delaware” ha dichiarato al veleno Musk in un post su X, valutando l’ipotesi di trasferire la registrazione della società in Texas dove, ad Austin, Tesla ha costruito la gigafactory nel 2020.

Secondo la ricostruzione del giudice, il piano di retribuzione sarebbe stato calibrato “per aiutare Musk a raggiungere ciò che credeva sarebbe stato un buon futuro per l’umanità”. Musk aveva testimoniato, durante il processo nel novembre del 2022, che sarebbe stato utilizzato “per finanziare viaggi interplanetari” attraverso l’impegno degli investitori di reinvestire il capitale nel settore aerospaziale.

La vicenda sicuramente si aggiunge ad un già periodo turbolento per Tesla. La perdita del trono di principale produttore di EV, a favore della cinese Byd secondo i dati diffusi per il 2023, e il riconoscimento che le aziende cinesi rappresentano un competitor formidabile non solo per la società americana, che già opera da oltre un decennio nel settore, ma soprattutto per i carmakers tradizionali come Volkswagen, General Motors, Ford, BMW e Stellantis. L’unico aspetto che al momento accumuna Tesla e l’automotive ancora legata al motore a combustione sono i piani di elettrificazione che rimangono, allo stato dell’arte, fortemente dipendenti dall’ecosistema delle batterie cinesi.

In questa direzione, secondo quanto ricostruito da Bloomberg, Tesla starebbe pianificando la costruzione di una linea di produzione per batterie al litio-ferro-fosfato (Lfp) da 10 GWh in Nevada in collaborazione proprio con Catl. L’azienda cinese, che gode circa del 37% del mercato delle batterie davanti a Byd, LG Energy Solution, SK Innovation, Samsung SDI e Panasonic, ha costruito sulle Lfp un vero e proprio dominio di mercato, soprattutto per la domanda nazionale. Ora, come in altri settori quali i chip maturi, la Cina pianifica di riversare sui mercati internazionali gli eccessi di produzione e le batterie Lfp sembrano essere l’ideale per l’automotive, soprattutto per le performance elevate e il costo minore rispetto alle batterie Nmc.

Tuttavia, per non urtare con i desiderata dell’amministrazione Biden con la strategia industriale di de-risking dalla Cina tramite le clausole dell’Inflation Reduction Act (IRA), Tesla utilizzerebbe, secondo i termini dell’accordo, solo equipaggiamento per la manifattura delle celle per pacchi batteria fornito da Catl a partire dal 2025. In questo modo, Tesla eviterebbe di coinvolgere nella fornitura per la gigafactory – garantendo l’approvvigionamento di materiali catodici e anodici da entità in compliance con l’IRA – un’entità che rientrerebbe nella definizione di foreign entity of concern (FEOC) poiché tra gli investitori di Catl, oltre alle quote possedute dal suo fondatore Robin Zeng, vi sono alcune banche e fondi con connessioni con lo Stato, e dunque Parito Comunista, cinese. Un imbarazzo che già ha messo con le spalle al muro Ford nel tentativo di costruire in joint venture con il colosso delle batterie cinese una gigafactory in Michigan. Per non perdere i copiosi incentivi, Ford sarebbe pronta a rinegoziare l’accordo con Catl per mantenere la maggioranza della JV mentre Catl fornirebbe, in licenza, la tecnologia.

L’obiettivo di Tesla sarebbe quello di incentivare il reshoring delle linee di produzione Lfp, considerando che si tratta di batterie fondamentali per la produzione di EV meno costosi (Tesla ha annunciato di voler lanciare sul mercato nel 2025 un nuovo veicolo da $25.000 dollari) rispetto ai pacchi batteria nichel-manganese-cobalto. Tesla è infatti il primo consumatore, del settore automotive, di nichel al mondo, con più di 31.000 tonnellate impiegate nelle batterie EV vendute tra gennaio e luglio dello scorso anno. Con la progressiva penetrazione delle batterie Lfp, questa tecnologia è destinata a diventare il primo driver della domanda di litio a livello globale (con evidenti riflessi sul mercato e l’industria mineraria). Inoltre, con l’annuncio di una raffineria per produrre carbonato di litio in Texas, a Corpus Christi, nella seconda metà del 2024 la strategia di Tesla sembra più convincente rispetto a quella di Ford per assicurarsi i $35/kWh per le celle e i $10/kWh per i pacchi batterie previsti dall’IRA.

Rimane, tuttavia, ancora poco chiaro se Catl installerà equipaggiamento per l’assemblaggio o attrezzature per il rivestimento delle celle, considerando che nella gigafactory in Nevada Tesla già possiede circa 25 GWh di capacità di rivestimento: ci sarebbe, dunque, un disallineamento tra l’acquisto da Catl e gli asset a disposizione. Secondo le ricostruzioni, Tesla avrà comunque pieno controllo dell’impianto e responsabilità sui costi mentre Catl invierà i suoi lavoratori specializzati e ingegneri per l’installazione.

Catl è già uno dei principali fornitori di Tesla per le celle delle sue batterie, con un’interdipendenza che si approfondisce negli stadi di raffinazione e di produzione dei materiali catodici e anodici. Prima che Tesla iniziasse a diversificare la sua supply chain per celle Lfp con accordi con il gigante Byd – che, per via della suo business fortemente integrato, è così un suo acerrimo competitor nonché fornitore – Catl era l’unico produttore in grado di garantire alla Gigafactory 3 di Tesla a Shanghai. Secondo le stime più recenti, oltre metà delle vendite di Tesla sono rappresentate dalla Model 3 e Model Y su cui sono installate batterie Lfp.

“La diversificazione della chimiche delle batterie è fondamentale per la crescita della capacità a lungo termine, per ottimizzare meglio i nostri prodotti per i vari casi d’uso e per ampliare la nostra base di fornitori” si leggeva in una earning call di Tesla di quasi due anni fa. L’obiettivo, ambizioso, di Musk è di arrivare a produrre 20 milioni di EV e di installare 1.5 TWh di accumuli energetici stazionari (ESS) entro il 2030. Le batterie Lfp, per la loro densità energetica, sono inoltre molto adatte per soluzioni ESS mentre non garantiscono agli EV un range di guida come le Nmc. Secondo alcune stime, Tesla potrebbe arrivare a contare per il 33% dell’impiego totale globale di batterie entro la fine del decennio.

Per rafforzare la sua produzione, Tesla sta già espandendo la gigafactory in Nevada in partnership con la giapponese Panasonic, dove vengono prodotte le celle 2170 per la Model 3 e Y ad una decina di chilometri dalla città di Reno, poco distante dove, invece, dovrebbe essere installato il nuovo sito con la collaborazione di Catl.

Qualora dovesse essere ufficializzato l’impianto, si tratterebbe dell’ennesima dimostrazione che se un colosso come Tesla, con oltre più di un decennio di esperienza nella produzione di EV (e non solo per il brand ormai consolidato) e batterie necessita comunque di una collaborazione con il leader indiscusso cinese per l’espansione sul suolo nazionale (nonostante le clausole dell’IRA), il decoupling rimane un percorso quasi impossibile da conciliare con aggressivi target di elettrificazione. Stellantis – finita nel mirino delle critiche del governo per non aver rispettato le promesse sugli investimenti in Italia – ha già scelto di rafforzare la cooperazione con l’industria cinese, con Catl e Leapmotor per accedere alla tecnologia Lfp.

Nel medio lungo termine, l’unica vera soluzione per conciliare i due aspetti rimane l’innovazione tecnologica – come sperimentato, in Europa, da Northvolt e in Cina anche da Byd e Catl – con investimenti massicci in R&D e linee di produzione sulla nuova generazione di batterie che comunque rimane, nei termini più ottimistici, 10-15 anni dal poter sperare di diventare la soluzione tecnica dominante nel parco EV.

Batterie, ecco come Tesla collaborerà con Catl (nonostante l’Ira)

Nonostante la battuta d’arresto in borsa, il sorpasso della rivale Byd e alcuni grattacapi legali, Elon Musk è pronto a rafforzare la cooperazione con il produttore di batterie cinese. Un chiaro segnale anche all’amministrazione Biden…

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