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Non molto tempo fa Formiche.net mi chiese una riflessione sul presidente del Consiglio e il suo rapporto con la maternità. Sembra passata un’era geologica dopo la netta dichiarazione di Giorgia Meloni che ha fatto sbalordire tutti i media del mondo: “La mia relazione finisce qui”. Non serve aggiungere altro, perché ormai la avete letta praticamente dovunque. Dunque, cosa è accaduto di tanto straordinario? Meloni ha messo in atto un comportamento che dovrebbe essere normale, perché se in una coppia accadono cose di questa improntitudine, il rapporto si chiude: poiché la norma è purtroppo diventata eccezione, noi tutti siamo invece stupiti e ci chiediamo come sia stato possibile.

Avevo già scritto che il mio lavoro editoriale su mogli e compagne di politici (“Le Mogli della Repubblica”, edito da Marsilio) era stato per me una vera e propria psicoterapia in occasione della rottura del mio matrimonio (traumatica perché resa pubblica in modo violento, ed esattamente come è avvenuto in questo caso, collegata ad un uomo politico, anche se a rovescio: quello potente, infatti, allora, era l’uomo). Scrivere dei propri dolori, comunicarli, come dice Karen Blixen, permette (anche se non in tempi brevi) di superarli. Continuo a scrivere anche io, sempre, perché soffrire per amore, e nei nostri due casi, soffrire per le ferite e le umiliazioni che ci vengono inferte dal padre dei nostri figli, è qualcosa di molto, molto pesante. “Sono umana anche io”, cosa credete? Siamo umane tutte noi, che in occasioni diverse, in età diverse, a causa di uomini diversi, ci rendiamo conto di aver commesso un grande errore.

Parlare di lei, del presidente, rivedere le nostre vicende in lei, ci permette di identificarci e – permettetecelo – persino di consolarci un po’. Non voglio qui stare ad investigare sui risultati politici di questa decisione (lo hanno fatto in tanti e sono d’accordo con Alessandra Ghisleri, che difficilmente sbaglia valutazione); è possibile se non certo che Meloni amplierà il suo consenso nei confronti delle elettrici, da oggi Giorgia infatti non è solo “una donna, una madre, una cristiana”, da oggi è diventata a pieno titolo “una di noi”. Una che ha preso una porta in faccia e che si è rialzata, si è data una rinfrescata e poi ha chiuso la stessa porta. Proprio come allora ho fatto io, come hanno fatto tantissime di noi. Ma qui comincia il nuovo percorso (lo avevo anticipato nel mio scorso articolo e mi rendo conto che non sono la sola ad averci pensato) ed è qui che si dovrà vedere il segno del cambiamento. Essere donne vincenti in un mondo di donne che fanno fatica, perché devono gestire tanti ambiti (lavoro, famiglia e – soprattutto per le donne italiane – fare da caregiver per figli disabili o genitori malati), è una responsabilità enorme.

Ed è da questo dolore che comincia per lei il vero percorso. Cito dall’ultimo libro di Mirella Serri: Uomini contro, la lunga marcia dell’antifemminismo italiano: “È oggi sotto gli occhi di tutti che l’uguaglianza di genere sia sotto attacco ovunque nel globo e che stia conoscendo un drammatico trend involutivo nei regimi totalitari o autocratici. Ogni attacco al mondo femminile è segnale di profonda regressione della democrazia. Non è dunque vero che la democrazia oggi non sia a rischio, anche in Italia. Per renderla più fragile basta la riduzione dell’autonomia e del percorso di emancipazione femminile”. Questa vicenda personale-politica-pubblica-nazionale-internazionale può diventare il primo importantissimo passo per un cambiamento: un cambiamento che può riflettersi nel rispetto e nella comprensione di “famiglie altre”, quelle che il suo partito non considera meritevoli degli stessi diritti, nel sostegno alle donne aiutandole nel percorso di riconoscibilità in primo luogo nelle istituzioni, affrontando i temi delle minoranze, del caregiver, delle difficoltà, per esempio in modo franco e determinante nella televisione pubblica accettando il cambiamento quando e dove questo significhi riconoscimento reale delle donne.

Perché è dalle donne che si genera la crescita sana di una società. Non sto qui a raccontare quello che noi tutte ormai sappiamo, a partire dalle economie sane che vedono le donne in prima linea, fino ad arrivare all’ammirazione sconfinata che ho, per esempio, nei confronti delle mie sorelle iraniane o afghane, e alle madri israeliane e palestinesi, unite in associazione, che ho avuto l’onore di conoscere. Non è un caso che l’oscurità viene da coloro che considerano le donne meno di animali. Se Meloni vuole davvero lasciare il segno del cambiamento c’è solo questa strada.

Meloni e la responsabilità di essere una donna vincente

Di Paola Severini Melograni

Essere donne vincenti in un mondo di donne che fanno fatica, perché devono gestire tanti ambiti (lavoro, famiglia e, soprattutto per le donne italiane, fare da caregiver per figli disabili o genitori malati), è una responsabilità enorme. Da qui Meloni può e deve partire

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