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L’incontro nello Studio Ovale fra i presidenti ucraino Volodymyr Zelensky e americano Donald Trump, con anche il vice di quest’ultimo, JD Vance, è stato un evento eccezionale. Mai era avvenuto che capi di Stato si scambiassero accuse tanto pesanti e usassero toni tanto scortesi in un incontro ufficiale, tra l’altro diffuso in mondovisione.

Si sono allargate non solo le distanze fra gli Stati Uniti con l’Ucraina, ma anche con gli alleati europei, rimasti sconcertati, sbalorditi e impauriti dal fatto che sono sempre più evidenti non solo il disimpegno americano dall’Europa e dalla sua sicurezza, ma anche la diminuzione della possibilità di cooperazione politica, economica e tecnologica fra le due sponde dell’Atlantico. Le possibilità di sanare la frattura così determinatasi con una conferenza euro-atlantica – come chiesto da Italia e Regno Unito – sono a parer mio nulle. Essa potrebbe addirittura essere controproducente, allargando dissidi, come lo è la lamentevole richiesta italiana che l’Unione europea e l’Ucraina partecipino ai colloqui in Arabia Saudita fra gli Stati Uniti e la Russia.

Non sono chiare le ragioni perché l’incontro si sia risolto in un disastro tanto grande. Varie ipotesi possono essere formulate al riguardo.

Primo: la personalità degli interlocutori. Trump voleva consolidare la sua fama di duro, specie dopo che la sua iniziale richiesta all’Ucraina di rimborso di 500 miliardi di dollari era stata rudemente rigettata da Zelensky nel colloquio con il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent. Era stata inserita nella richiesta “coloniale” di Trump di sfruttamento dei minerali rari ucraini. La ruvida risposta di Zelensky era stata stigmatizzata come un’offesa agli Stati Uniti e al loro presidente con toni quasi offensivi dal vice di Trump. Di qui ha avuto inizio un’escalation di accuse e di rimproveri reciproci, al di fuori di ogni pratica diplomatica e, anche, di ogni semplice cortesia. Vance e Trump sembravano due capi mafiosi che stessero rimproverando un loro affiliato. Sono stati spesso ruvidamente contrastati dal leader ucraino. In sostanza, il fallimento del colloquio sarebbe stato, se non causato, sicuramente attizzato dal risentimento, antipatia e astio di Trump verso Zelensky a cui attribuisce  la colpa di non averlo sostenuto (questione del figlio di Biden, Hunter Biden, nel 2016 e visita alla fabbrica di armi della Pennsylvania nel 2024).

La seconda ipotesi è che sia stato voluto dalla Casa Bianca, cioè che si sia trattato di un agguato teso da Trump e dai suoi a Zelensky, per far fallire i “colloqui di pace” fra gli Stati Uniti e la Russia, attribuendone la responsabilità all’Ucraina. Gli Stati Uniti avrebbero deciso di sganciarsi dal negoziato bilaterale con la Russia di Vladimir Putin in Arabia Saudita. Due ne potrebbero essere le ragioni. Trump si sarebbe accorto che, data l’intransigenza del Cremlino, nessuna soluzione sarebbe stata possibile, se non la resa praticamente completa di Kyiv. Essa avrebbe danneggiato il prestigio degli Stati Uniti e la loro credibilità nei confronti di tutti i loro alleati. Le provocazioni di Vance e le conseguenti “pepate” risposte di Zelensky avrebbero creato il caos e fatto fallire non solo l’accorso sui minerali, ma anche ostacolato i negoziati fra Trump e Putin.

Inoltre, la volontà americana di far fallire il colloquio con il leader ucraino e, di conseguenza, intralciare gli accordi con Putin, potrebbero derivare dal fatto che la rinnovata partnership fra Mosca e Pechino avrebbe convinto Trump dell’impossibilità di raggiungere l’obiettivo di allentare i legami russo-cinesi. Sotto il profilo strategico, finché la Cina non avrà completato (entro il 2035) l’ammodernamento del proprio arsenale nucleare, Pechino si sente indirettamente protetto da un first strike americano dell’enorme arsenale nucleare russo. Inoltre, i rapporti economici fra Cina e Russia sono sempre più stretti (interscambio di quasi 250 miliardi di dollari nel 2024) non sono certamente sostituibili dagli Stati Uniti che scarseggiano nelle produzioni di beni di consumo a basso prezzo.

Comunque, quali che siano le ragioni dello “storico disastro” diplomatico del 28 febbraio, esso peserà non solo sull’Ucraina, ma sul futuro della sicurezza europea e della Nato.

Per quanto riguarda l’Ucraina, la situazione al fronte si farà più difficile. Si valuta che fra sei mesi finiranno le scorte di munizioni americane non sostituibili dagli europei. Si potrebbe verificare lo sfondamento del fronte e, forse, la caduta della stessa capitale, Kyiv. Non è detto che ciò porrà fine alla guerra. La resistenza all’occupazione potrebbe continuare in tutto il territorio conquistato, con la strategia della guerra territoriale appoggiata da vari Stati europei e forse dall’Unione europea nella sua interezza.

Per inciso, era la strategia che si pensava di utilizzare in Ucraina, prima del loro imprevisto successo contro l’iniziale attacco russo del febbraio-marzo 2022. È il sistema di difesa previsto negli Stati baltici e scandinavi. La prosecuzione del conflitto porrebbe al Cremlino grossi problemi finanziari, dato il disastroso stato dell’economia russa. La credibilità che la si possa attuare sembra confermata dal fatto che una netta maggioranza di ucraini vuole resistere all’occupazione russa e rifiuta la de-nazificazione e conseguente rieducazione di massa previste da Putin.

Per l’Europa, le cose si pongono in modo meno drammatico rispetto all’Ucraina, qualora aumentasse la capacità di governi europei di potenziare le proprie forze militari. La situazione poi migliorerebbe ancora con la decisione – che personalmente ritengo improbabile – di Parigi e Londra di europeizzare i loro deterrenti nazionali. Forse una soluzione di ripiego, ma molto più rapida e fattibile della costruzione di una “bomba nucleare europea” è quella di dotarsi di “armi radioattive” o “bombe sporche”, oppure di sviluppare le nuove armi chimiche con potenze “strategiche” (cioè di distruzioni estese a intere aree urbane). Beninteso, l’ideale sarebbe una rivitalizzazione della Nato, aumentando l’interesse degli Stati Uniti per essa, per esempio tramite la sua trasformazione in una Nato globale. Interessante, al riguardo, sarà la riunione di domani a Londra. Il suo risvolto principale riguarda l’affidabilità che potrà essere riposta nell’alleanza atlantica e nell’impegno americano per la sicurezza dell’Europa, nonché quello europeo nel prolungamento – per quanto possibile – della resistenza del fronte ucraino.

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Quali che siano le ragioni dello “storico disastro” diplomatico del 28 febbraio, esso peserà non solo sull’Ucraina. L’ideale sarebbe una rivitalizzazione della Nato, aumentando l’interesse degli Stati Uniti per essa, tramite la sua trasformazione in un’alleanza globale. Il commento del generale Carlo Jean

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