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Lunedì 5 e martedì 6 ottobre si sono verificate esplosioni negli aeroporti russi di Engels-1, vicino alla cittadina di Saratov, e di Dyagilevo, vicino a Ryazan, che hanno lasciato alcune vittime e danneggiato pesantemente alcuni aerei militari. Un terzo attacco è stato condotto contro un deposito di petrolio, che ha preso fuoco, apparentemente senza vittime. La notizia è importante per diversi motivi tra cui la dimostrata capacità ucraina di colpire in profondità nel territorio nemico e, dall’altra parte, l’incapacità russa di proteggere infrastrutture di assoluta rilevanza strategica, dato che le due basi aeree ospitano asset nucleari della Federazione.

Foto: schiuma antincendio e mezzi di soccorso intorno a un Tu-95. Credit @kromark

In Italia, e probabilmente anche altrove, la domanda che ci si pone è: vedremo un’escalation nucleare? La risposta è tendenzialmente no, ma andiamo con ordine, seguendo i ragionamenti dell’ex comandante supremo della Nato James Stavridis, pubblicati su Bloomberg.

Dal punto di vista ucraino, a questo punto del conflitto c’è poco da perdere. La Russia ha abbandonato da un pezzo l’idea di una “operazione speciale” per abbracciare una guerra totale, con la campagna aerea che sta fiaccando i sistemi energetici ucraini e mietendo sempre più vittime civili.

Dal punto di vista russo, il Cremlino sa perfettamente che l’opzione nucleare avrebbe implicazioni enormi per quanto riguarda la reazione occidentale. Se a questo aggiungiamo che i supposti alleati, come i cinesi, stanno facendo capire in tutti i modi che non sosterranno la Russia fino in fondo, si direbbe che Mosca non abbia molte carte da giocare, se non l’unica di continuare con le ostilità senza grandi cambiamenti.

È possibile, in quest’ottica, che l’attacco ucraino serva a dimostrare le capacità raggiunte da Kiev. Il messaggio sarebbe: se continuate a bombardarci, cominciamo a farlo anche noi e colpiamo obiettivi più che sensibili. Il rovescio della medaglia è che questa strategia possa aumentare l’aggressività e la determinazione delle forze armate russe. Oltre a fornire a Vladimir Putin il pretesto di mostrare alla popolazione che l’Ucraina attacca la Russia.

Foto: un B1 danneggiato. Credit @RALee85

C’è poi il discorso degli alleati atlantici degli ucraini. I Paesi Nato vogliono a tutti i costi evitare che il conflitto si allarghi fino a diventare uno scontro diretto con l’Alleanza. Se proprio volessero scongiurare questa eventualità, i donatori di supporto potrebbero considerare di fornire più piattaforme di difesa aerea, magari anche aerei da combattimento, in modo che il governo di Zelensky sia meno propenso a lanciare attacchi in profondità in Russia.

Si scatenano le teorie sulla dinamica operativa degli attacchi. È probabilmente presto per arrivare a conclusioni, ma le versioni più verosimili sono due. La prima è che una squadra speciale ucraina in territorio russo abbia utilizzato droni kamikaze, facilmente nascondibili per le ridotte dimensioni (circa un metro e mezzo di lunghezza, con una gittata massima di una quarantina di chilometri). Sarebbe la prima volta che l’Ucraina utilizza droni di questo genere (switchblade), fino ad oggi negati a Kiev perchè giudicati un’arma eccessiva, più o meno come successo con i missili Himars.

La seconda è che l’attacco sia partito dall’Ucraina, e questo implicherebbe che siano stati utilizzati droni piuttosto sofisticati. Come i turchi Tb2, in grado in questo caso sia di lanciare missili sia di coprire la distanza tra il fronte ucraino e le basi russe a centinaia di chilometri. È altamente improbabile che questo tipo di sistema sia stato lanciato dal territorio russo viste le dimensioni da piccolo aereo.

Ovviamente è anche possibile che i tre diversi episodi abbiano avuto tre diverse dinamiche. Comunque siano andate le cose, un punto da tenere a mente è che la Federazione Russa non sia stata capace di garantire la copertura aerea a due basi che ospitano sistemi nucleari. A prescindere dalla motivazione, il fatto è di per sé notevole e sintomo di una debolezza impressionante dell’apparato militare russo.

Quei droni che colpiscono la deterrenza nucleare del Cremlino

Gli attacchi contro due basi aeree russe, ufficialmente non rivendicati da Kiev, potrebbero essere un messaggio dell’Ucraina che mostrerebbe al nemico le capacità raggiunte. Sullo sfondo, l’impressionante debolezza delle forze armate di Mosca: in nessun Paese avanzato un drone potrebbe mai colpire un’infrastruttura che ospita bombardieri strategici e armi nucleari

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