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Donald Trump ha espresso la speranza che Russia e Ucraina raggiungano un accordo questa settimana, dopo aver minacciato di “rinunciare” a ulteriori negoziati di pace se non si faranno progressi. Vladimir Putin, per la prima volta in assoluto, si è detto disponibile a colloqui bilaterali con Volodymyr Zelensky, ma senza rinunciare ad un altro raid. Nel mezzo il tema energetico legato al gasdotto Nord Stream 2, che resta mediaticamente defilato ma oggettivamente di primaria rilevanza per accompagnare il tavolo diplomatico. Questo lo schema che precede il meeting sull’Ucraina in programma mercoledì a Londra, alla presenza di Usa e dei paesi Ue.

Il Cremlino bluffa?

Nonostante il cessate il fuoco sembri ancora un’utopia, Putin ha suggerito colloqui di pace diretti con l’Ucraina. Se si tratti di una apertura o di una mossa pre-vertice di Londra non ci vorrà molto a scoprirlo, anche se dal Cremlino (che riceverà Witkoff a breve) precisano le posizioni. “Questo argomento è così complesso, legato a un accordo, che probabilmente non vale la pena di fissare tempi rigidi e cercare di ottenere un accordo, un accordo fattibile, in tempi brevi”, ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, come a voler tirare un filo disteso poco prima.

Schermaglie, dunque, mentre le armi non si fermano come dimostra il raid russo a Zaporizhia, che ha provocato un morto e 22 feriti. La divisione dell’Ucraina in tre parti, ipotesi circolata recentemente, resta sul tavolo? Keith Kellogg, inviato speciale del presidente degli Stati Uniti in Ucraina, ha suggerito che le truppe britanniche e francesi potrebbero adottare zone di controllo nel paese. Poco prima di partire per Londra Kellogg ha detto che gli Usa si stanno muovendo anche verso un cessate il fuoco globale. “Quando dico globale, intendo una cessazione delle ostilità via mare, aria, terra e industria, per un periodo di almeno 30 giorni. Poi si trasformerà in un accordo di pace a più lungo termine, anche in un trattato di pace permanente. E credo che siamo sulla buona strada”.

Da Bruxelles a Kyiv

L’iniziativa franco-britannica dei volenterosi sembra essersi arenata? “Tutti vogliono la pace, una pace solida e sostenibile. La questione è come procedere gradualmente”, ha detto il presidente francese Emmanuel Macron, confermando tutte le difficoltà. Tra i leader europei non c’è stata condivisione dopo che l’amministrazione Trump ha indicato di volersi disimpegnare dall’Europa e quest’ultima chiede di essere soggetto-chiave nei colloqui per il cessate il fuoco. Ieri Zelensky ne ha parlato al telefono con il primo ministro inglese Keir Starmer, per mettere in risalto “la continua cooperazione tra Ucraina, Regno Unito, Francia e Stati Uniti”, partendo dal presupposto rappresentato da un cessate il fuoco incondizionato, aggiungendo che “questa Pasqua ha reso chiaro che sono le azioni della Russia a prolungare la guerra”. Il presidente ucraino ha precisato che sono allo studio ampi formati di sicurezza europei.

L’energia e gli accordi

Il gasdotto Nord Stream è tornato ad essere un’opzione per le forniture di gas russo, così legandosi al tavolo politico di discussione sulla guerra. Da un lato gli europei vorrebbero rinunciare del tutto al gas russo, viste le iniziative già messe in campo per la diversificazione dell’approvvigionamento energetico, ma dall’altro Trump potrebbe ostacolare queste intenzioni aprendo ad un’altra soluzione che riattivi il gasdotto nel Mar Baltico dal momento che il dossier “terre rare” richiederebbe troppo tempo per produrre risultati, mentre invece più di qualcuno ritiene che l’opzione Nord Stream sarebbe più rapida non fosse altro perché già pronta. Per cui una volta finita la guerra in Ucraina è possibile che la Germania (affaccendata con il nuovo governo di coalizione) avrà di nuovo bisogno del gas russo, abbondante e a basso costo, così da creare un agglomerato di interessi comuni.

Se da un punto di vista tecnico sarebbe sufficiente spingere il tasto on, sotto il profilo politico ci sono alcuni ostacoli, come le sanzioni occidentali contro la Russia (e quindi Gazprom) e come la volontà di Berlino di accelerare o meno in tale direzione. Non va dimenticato che al momento l’industria tedesca si trova nel bel mezzo di una doppia crisi, con una possibile (e consistente) dipendenza dal Lng americano e con il nodo dell’automotive non sciolto.

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