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“La sfida più completa e seria alla sicurezza nazionale degli Stati Uniti è lo sforzo coercitivo e sempre più aggressivo della Repubblica popolare cinese di rimodellare la regione indo-pacifica e il sistema internazionale per soddisfare i suoi interessi e le sue preferenze autoritarie”. Il virgolettato è riportato nella nuova National Defense Strategy che l’amministrazione Biden ha reso pubblica giovedì 27 ottobre ed è l’ennesimo passaggio chiarificatore di quanto gli Stati Uniti percepiscano profonda la sfida cinese.

Ancora: Pechino “cerca di minare le alleanze statunitensi e le partnership di sicurezza nella regione indo-pacifica e sfruttare le sue crescenti capacità […] per costringere i suoi vicini e minacciare i loro interessi”. Sembra una descrizione perfetta di cosa sta accadendo al porto cambogiano di Ream, per esempio, e in altri scenari nella regione (e non solo).

Teatro dello sviluppo (umano, tecnologico, economico) del futuro, il quadrante presenta per Washington una serie di sensibilità pratiche e politiche. Gli Stati Uniti hanno basi sparse in diversi Paesi della regione indo-pacifica, ma non hanno affacci diretti nel cuore indo-pacifico, marginalizzati nella porzione orientale e divisi da un oceano rispetto ai centri dinamizzati. Che invece hanno confini marittimi e culturali con la Cina.

Una prossimità che non è sempre positiva, anzi. Tuttavia essa impone agli americani la creazione di una serie di alleati e partner fedeli per creare il fronte di primo contenimento alla Repubblica popolare cinese (PRC). È per questo che viene posta molta attenzione alle attività con cui la Cina cerca di “minare” quel fronte che gli Usa intendono fortificare.

La Cina, continua il documento, è in una fase di “retorica sempre più provocatoria e attività coercitiva nei confronti di Taiwan”, che è “parte di un più ampio modello di comportamento destabilizzante e coercitivo della PRC che si estende attraverso il Mar Cinese Orientale, il Mar Cinese Meridionale e lungo la linea di controllo effettiva”.

Quest’ultimo richiamo è diretto all’India: la Linea di controllo effettivo (Lac) demarca dal 1962 il confine tra la Cina e l’India, in una zona contesa che delimita il territorio della Cina, rivendicato dall’India. È la zona di contatto tra le due potenze in cui due anni fa si sono verificati pericolosissimi scontri sanguinosi tra le forze regolari schierate lungo i bordi, e che solo recentemente è stata oggetto di una de-escalation. È il punto di frizione della competizione globale tra Cina e India, e gli Stati Uniti lo usano tra le leve con cui cercare di tenere Nuova Delhi agganciata in quel fronte Indo-pacifico (che significa anche globale, in questo caso) anti-cinese.

Qualcosa di simile riguarda Taiwan. “Ciò che è cambiato è questo: la decisione del governo di Pechino che lo status quo non era più accettabile e che voleva accelerare il processo di riunificazione”, ha detto due giorni fa il segretario di Stato statunitense, Antony Blinken, ribadendo un concetto espresso anche la scorsa settimana. Pechino si è messo su una “much faster timeline”, ossia il processo di annessione dell’isola — che il Partito/Stato considera una provincia ribelle — potrebbe essere accelerato.

E Blinken ricorda che il leader Xi Jinping anche durante il recente Congresso del Partito Comunista Cinese — in cui è stato incoronato per il terzo, storico e unico, mandatonon ha escluso l’uso della forza. È un richiamo diretto agli alleati, soprattutto quelli occidentali, dato quanto accade in Ucraina, che come ha spiegato Giulio Pugliese (IAI) su queste colonne ha scosso anche altri alleati americani come il Giappone (e la Corea del Sud).

Parole uscite appena prima della telefonata tra i ministri degli Esteri di Cina e Russia in cui sono stati marcati alcuni input sulla cooperazione futura tra i due Paesi. Dal readout cinese (sempre meno spregiudicato e per questo significativo): “Qualsiasi tentativo di bloccare il progresso della Cina e della Russia non avrà mai successo. La Cina è disposta ad approfondire gli scambi con la Russia a tutti i livelli, a spingere le relazioni e la cooperazione Cina-Russia in vari campi a un livello più alto e a fornire maggiore stabilità al mondo turbolento”.

Ed è — e sarà — la Cina a guidare questa relazione, tanto che la stessa National Defense Strategy individua la minaccia di Mosca come più “acuta”, ma quella di Pechino come più persistente. Ossia duratura nel tempo, dunque la sfida del futuro. Tant’è che mentre le forze armate russe vengono segnalate dalle intelligence statunitensi come in difficoltà nel tenere il passo del conflitto ucraino, l’esercito cinese “sta rapidamente avanzando e integrando il suo capacità di guerra spaziale, counter-space, informatica, elettronica e informativa per supportare il suo approccio olistico alla guerra congiunta” e “sta accelerando la modernizzazione e l’espansione delle sue capacità nucleari”, spiega la Difesa Usa.

La Cina “probabilmente intende possedere almeno 1.000 testate [nucleari] utilizzabili entro la fine del decennio” secondo la revisione della Nuclear Posture che gli Stati Uniti hanno deciso di far uscire insieme al documento programmatico sulle sfide del Pentagono (e dunque della nazione). La revisione della postura nucleare degli Stati Uniti rileva anche che “sebbene lo stato finale risultante dalle scelte specifiche della RPC […] sia incerto, la traiettoria di questi sforzi indica un arsenale nucleare ampio e diversificato con un alto grado di sopravvivenza, affidabilità ed efficacia”.

La Cina “ha drammatically (notevolmente molto rafforzato, ndr) avanzato il suo sviluppo di tecnologie e capacità missilistiche balistiche e ipersoniche, sia convenzionali che nucleari […] In molte aree come le tecnologie balistiche convenzionali e missilistiche ipersoniche la Cina continua a colmare il divario con gli Stati Uniti”, aggiunge invece la US Missile Defense Review, altro documento uscito insieme alla strategia di difesa.

Non è un caso la sovrapposizione di questi tre testi, perché marca la dimensione della sfida, che è anche militare, e che va oltre le parole e gli intenti su possibili ravvicinamenti avanzati anche nei giorni passati da Pechino, nonostante — come ribadito da entrambe le parti — i contatti siano fondamentali, dato che in questo confronto si muovono i destini del mondo.

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