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Non è un segreto che per completare la transizione ecologica – che secondo i piani attuali passa da parchi eolici, pannelli solari, maxi-accumulatori e auto elettriche – si dovranno estrarre e raffinare quantità impensabili di alcune materie prime. Metalli critici, terre rare: alcuni sono effettivamente difficili da trovare, in realtà molti hanno un pesante costo sociale e ambientale e dunque sono “rari” perché gli occidentali sono sono stati ben contenti di lasciare a Paesi terzi il peso dell’estrazione. Ma il crescente valore strategico, unito al rischio strategico che deriva dal monopolio cinese nel settore, stanno costringendo l’Occidente a un ripensamento. Nel 1993 gli Usa lavoravano il 33% di questi materiali, la Cina il 38%. Nel frattempo oltre il 90% della produzione si è spostato in Asia.

A giugno, diversi alleati occidentali – tra cui Australia, Canada, Finlandia, Francia, Germania, Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti, Svezia, Regno Unito e la Commissione europea – hanno annunciato il lancio di una partnership per rafforzare la sicurezza delle supply chain di queste materie prime. Questa Minerals Security Partnership serve appunto per far fronte alla doppia sfida dell’aumento della domanda e del disaccoppiamento dalla Cina, che da parte sua non nasconde l’intenzione di mantenere e rafforzare la leva dei materiali contro i Paesi occidentali – consolidando la presa sul settore e dissuadendo la competizione.

Viste le premesse, la Commissione sta pensando a come aumentare la produzione interna. Secondo il Financial Times, il braccio esecutivo dell’Ue sta preparando una serie di misure (un Raw Materials Act?) per abbattere le barriere regolatorie attorno all’estrazione e alla produzione dei metalli critici come il litio, il cobalto e la grafite. Tra i metodi previsti ci sono la designazione e l’approvazione accelerata di progetti strategici, la creazione di uno sportello unico per le autorizzazioni, sistemi per accelerare i processi legali nazionali in caso di contestazioni.

I piani sono ancora nella loro infanzia, ma si basano su anni di ricerche e mirano a sbloccare il potenziale praticamente intoccato del sottosuolo europeo. In un rapporto del 2021 i ricercatori del Joint Research Centre europeo hanno evidenziato che le risorse potenziali dell’Europa sono poco esplorate, i dati sulle riserve nebulosi, e i Ventisette hanno il più basso grado di investimento in attività minerarie rispetto a qualsiasi altra grande regione.

Ancor prima che il ricatto energetico di Vladimir Putin ricordasse all’Ue il rischio della dipendenza strategica, da Bruxelles avvertivano che la domanda europea di terre rare sarebbe quintuplicata entro il 2030. Secondo il Centro, la domanda globale di litio probabilmente aumenterà di sessanta volte da qui al 2050. Quella di cobalto e grafite, quindici. Per mettere il dato in prospettiva: oggi l’Ue produce l’1% delle batterie al litio su scala mondiale, mentre la Cina, forte delle sue catene di approvvigionamento globali, ne fabbrica il 66%.

“Troppo spesso siamo quasi interamente dipendenti dalle importazioni, mentre la geopolitica delle catene di approvvigionamento è sempre più instabile”, ha detto di recente il commissario europeo per il mercato interno, Thierry Breton, dunque serve un “dibattito aperto” sull’aumento delle attività di estrazione, lavorazione, raffinazione e riciclaggio in Europa. “Preferiamo importare da Paesi terzi e chiudiamo gli occhi sull’impatto ambientale e sociale, per non parlare dell’intensità carbonica delle importazioni. Ma l’estrazione mineraria in Europa non deve [per forza] essere un affare sporco”.

Parallelamente alla produzione interna, Bruxelles mira anche a potenziare le supply chain condivise con i partner più geopoliticamente affini – una pratica che gli statunitensi definiscono friend-shoring. Valdis Dombrovskis, commissario al commercio, ha detto a luglio che le pressioni geopolitiche stanno “cambiando la nostra prospettiva sulla politica commerciale” e che l’Ue deve stringere più accordi con i partner internazionali. I suoi obiettivi includono un accordo con il Cile – patria del 55% del litio presente al mondo – entro fine 2022, più un accordo con l’Australia – prima produttrice di carbonato di litio – nella prima metà del 2023.

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