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Un dibattito che da mesi va avanti è quello relativo allo “smart working” e che vede nel governo protagonista il ministro Orlando impegnato a confrontarsi coi sindacati per normarlo. La pandemia da Covid-19 ha messo in discussione i vecchi modelli lavorativi e di welfare, evidenziando la necessità di tutela di nuovi e vecchi diritti per imprese, artigiani e lavoratori.

Lavorare esclusivamente da remoto, senza avere più contatto con i propri colleghi e con il proprio ambiente lavorativo non pare la soluzione più vantaggiosa, così come, d’altro canto, non è immaginabile ritornare indietro, eliminando il lavoro agile.

Se da un lato il ministro Brunetta ha già gettato delle linee guida dello smart working nella Pa, dall’altro lato anche il Ministro Orlando si sta impegnando nella regolamentazione dello stesso. Già ad ottobre, intervenuto al Digital Summit di EY, aveva definito lo smart working “uno strumento emergenziale importante, che ora va anch’esso regolamentato”.

Proprio Orlando in questi giorni ha avviato un confronto con i sindacati per scrivere un quadro di regole sul telelavoro.

Anche gli esperti si dicono favorevoli. Lo stesso Nino Carmine Cafasso, giuslavorista, consulente del lavoro e presidente dell’AIS-Associazione Imprese di Servizi, sostiene da tempo la necessità di una regolamentazione del lavoro agile e una revisione del welfare aziendale.

Sarebbe forse il caso di legare il “lavoratore agile” non tanto alle ore di lavoro effettuate quanto, piuttosto, al raggiungimento degli obiettivi?

Il giuslavorista partenopeo più volte ha sottolineato la necessità di compiere un salto culturale e prendere atto che il modello lavorativo, così come il mercato del lavoro sono profondamente mutati, divenendo sempre più simili al modello americano, non da ora ma già da anni, basti pensare al Jobs Act introdotto da Renzi.

Sembra ovvio che è necessaria una presa di coscienza per cui il welfare del XXI secolo non potrà essere più come quello del secolo scorso.

Per Cafasso, un modo per evitare un forte scontro coi sindacati, che – si sa – tendono a stare sulla “difensiva” e potrebbero vedere un indebolimento dei diritti del lavoratore e il passaggio da un modello subordinato a parasubordinato, sarebbe auspicabile fare delle riforme graduali e sperimentali, piuttosto che radicali e tout court.

Un punto di vista che merita una riflessione in un’Italia sempre più plurale e moderna.

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