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“Il governo della Cambogia non è stato pienamente trasparente circa l’intento, la natura e l’obiettivo di questo progetto, né circa il ruolo delle forze armate della Repubblica popolare cinese, cosa che alimenta preoccupazioni sull’uso della base navale”, si legge in una nota diramata dal portavoce dell’ambasciata degli Stati Uniti a Phom Penh, Chad Roedmeier. “Il popolo cambogiano – prosegue – merita di sapere di più dei progetti in corso a Ream e di poter dire la propria su questo tipo di accordi militari, che hanno implicazioni di lungo termine per il suo Paese”. E infine: “Qualsiasi presenza militare straniera a Ream violerebbe la Costituzione della Cambogia e minaccerebbe la sicurezza regionale”.

Il comunicato segue la pubblicazione da parte dell’iniziativa AMTI del Center for Strategic and International Studies (Csis) di immagini satellitari che mostrano la costruzione — tra agosto e settembre — di tre nuovi edifici e l’avvio dei lavori per nuove infrastrutture interne al sito militare. Nulla di nuovo, Ream è una base cambogiana che i cinesi stanno implementando perché rappresenta il secondo affaccio nell’Oceano Indiano e a differenza del primo (il porto di Gwadar, alla fine del Corridoio Pakistano della Bri, snodo del commercio) ha una connotazione puramente militare.

Il ruolo della base cambogiana è cruciale per il controllo geostrategico che la Cina intende imporre sull’Indo Pacifico. Pechino non ha una strategia dichiarata per il quadrante, che sostanzialmente disconosce in termini generali perché lo identifica come un costrutto geopolitico ideato (dal Giappone e cavalcato dagli Stati Uniti) per diluire se non annullare il suo peso specifico del Dragone nella regione. Ma è chiaro che sia uno delle dimensioni strategiche di maggiore interesse del Partito/Stato, non solo per contrastare il contenimento avviato sotto la direzione di Washington.

Lo schema della presenza nell’Indiano è esplicativo. Il porto commerciale di Gwadar dove i flussi della Nuova Via della Seta deviano verso l’oceano del subcontinente è protetto — oltre che dalle istallazioni armate dirette — dalla base di Ream a est e da quella di Gibuti a ovest. Un triangolo: come Gibuti serve a controllare il Corno d’Africa, nodo talassocratico per accedere a Suez e dunque all’Europa, così Ream ha funzione simile per lo Stretto di Malacca (per ora dominio indiano).

Gli Stati Uniti hanno ormai raggiunto un livello di maturità tale da scegliere gli ambiti in cui spingere il proprio impegno reale e retorico. Come dimostra la vicenda afghana, il Medio Oriente non è più in cima alla lista degli interessi di Washington (ormai liberato dal peso del mondo degli idrocarburi, da produttore indipendente e primario qual è e con il pianeta nel flusso della transizione energetica) e questo apre all’aumento di presenza su altri scenari. E nei dossier interni all’area apparentemente minori come quello cambogiano. L’Indo Pacifico è un quadrante con una forte vocazione geopolitica di carattere marittimo, e per una potenza come l’America è inaccettabile qualsiasi genere di arretramento.

Gli Usa non hanno affacci diretti nel cuore nevralgico del bacino (se si escludono le basi extra territoriali di Guam e Yokosuka) ma lì intendono creare la cortina di contenimento iniziale della Cina, e per questo devono basarsi sulla catena di alleanze. È sotto quest’ottica che la vicenda cambogiana viene letta a Washington come arretramento — nonostante le relazioni tra Phnom Penh e Pechino siano già solide. L’accordo sino-cambogiano per la base è teoricamente segreto, ma noto da almeno tre anni. Poi nel 2020 fu il vice comandante delle forze navali della Cambogia a spiegare all’Asia Nikkei che fondi cinesi avrebbero aiutato l’ampliamento della base militare (e questo significa che la Cina ne avrebbe chiesto in cambio il controllo prima o poi, vedere quanto accaduto con Hambatntota, in Sri Lanka, altro affaccio ibrido sull’Indiano).

L’aspetto preoccupante di quanto avviene a Ream per gli americani riguarda il come e il dove, perché le nuove infrastrutture cinesi andranno a sostituire, dopo la demolizione, quelle che il governo cambogiano aveva costruito con l’aiuto americano (sempre con l’obiettivo del controllo dei mari e degli stretti, chiaramente). Si tratta di un arretramento, di una scelta netta agli occhi dei pianificatori strategici americani. Poi c’è il quando, perché le immagini sono uscite giorni prima che il vicesegretario di Stato, Wendy Sherman,  arrivasse in Cambogia nel primo viaggio di alto livello dell’amministrazione Biden nella regione. In una statement diffuso sulla visita, Sherman parlava di “serie preoccupazioni” sul ruolo cinese nel Paese — tanto per inquadrare i termini della visita.

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