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In questi mesi non mancano incertezze e anche apprensione per quella che sarà l’Europa dopo la fine del Cancellierato di Angela Merkel, che per sedici anni è stato il pilastro del processo d’integrazione, un solito orpello nelle due crisi finanziaria (del 2009-2009 e del 2011-2013) e più recentemente nella crisi sanitaria ed economica scatenata dalla pandemia.

Riuscirà un’intesa tra Francia ed Italia, quale quella che si profila nel Trattato del Quirinale in fase di messa a punto, ad essere il perno del processo d’integrazione? Riusciranno le istituzioni europee (in primo luogo, la Commissione europea) a ritrovare il ruolo che avevano agli inizi del cammino verso “un’Unione sempre più stretta”? Riuscirà l’Unione europea a darsi quel ruolo internazionale a livello mondiale che oggi le manca?

Ad alcune di queste domande, soprattutto a quelle sul piano economico, risponde in buona parte il libro di Marco Buti, un economista il quale da circa quaranta anni lavora alla Commissione europea e che ora ha il ruolo di Capo di Gabinetto del Commissario responsabile per gli affari economici e finanziari, Paolo Gentiloni. Il libro “The man inside. A european journey through two crises” (Bocconi University Press 2021) è un’analisi di come l’Unione europea ha attraversato le crisi degli ultimi vent’anni, e raccoglie anche alcuni scritti precedenti di Buti.

In breve, Buti, che – come si è detto – ha lavorato tutta la vita nei servizi della Commissione europea, sottolinea come soprattutto con la sua rapida risposta alla crisi causata dalla pandemia (la spedita preparazione del Next Generation Eu), ha riacquisito un ruolo e uno smalto che pareva avere perduto.

Buti trae alcune interessanti lezioni dalla sua esperienza di alto funzionario ed al tempo stesso osservatore del processo d’integrazione:

a) Spesso, la sorveglianza delle politiche nazionali da parte dell’Ue pone un’attenzione sproporzionata su questioni oggettivamente poco importanti. In passato l’Ue è stata spesso criticata per essersi concentrata sui “decimali”. La sorveglianza delle politiche dovrebbe focalizzarsi sui “grandi errori “, come richiesto dal trattato Ue. Soprattutto, l’attuazione dei Programmi nazionali di ripresa e resilienza fornirà l’opportunità di sottolineare anche i “grandi vantaggi”.

b) Non cadere vittima della sindrome di “equilibrio parziale”. La crisi finanziaria ha dimostrato che le tensioni in un angolo della zona euro possono avere conseguenze potenti altrove e, in determinate circostanze, diventare sistemiche. Come ha dimostrato la risposta alla crisi Covid-19, tenere conto delle interdipendenze tra i Paesi (nell’applicazione della sorveglianza macroeconomica e di bilancio) e tra le politiche (in particolare le politiche fiscali e monetarie), sarà importante per far emergere l’equilibrio generale della zona euro.

c) Durante la crisi finanziaria, la mancanza di fiducia tra gli Stati membri e tra questi ultimi e le istituzioni europee ha creato sospetti in alcuni Paesi circa l’uso di qualsiasi discrezionalità nell’attuazione delle regole di finanza pubblica. Questo ha portato al tentativo di codificare tutti i possibili stati del mondo in algoritmi complessi in modo da evitare decisioni discrezionali. Tuttavia non esistono “contratti completi”. Per semplificare le regole in materia di sorveglianza macroeconomica e di bilancio, gli Stati membri devono accettare che la Commissione le applichi utilizzando il giusto grado di giudizio economico.

d) Ricordarsi che andare da A a B non è una linea retta in Europa. Le diverse sensibilità e le complesse realtà politiche dell’Ue implicano che le proposte devono di solito fare appello a un pubblico diverso ed essere accettate da Paesi con preferenze sociali e politiche differenziate. Pertanto, il raggiungimento di un consenso è spesso complicato e richiede negoziati complessi e “progressi laterali”.

e) Le linee rosse sono lì per essere attraversate. Nell’ambito delle discussioni in seno al Consiglio o nei vari comitati dell’Ue, le autorità nazionali spesso arrivano, come è naturale, con una serie di linee rosse dettate da considerazioni di politica interna. La maggior parte di queste linee rosse diventa meno rilevante se si tiene presente l’interesse comune e si allunga l’orizzonte temporale nel quale vengono valutate determinate politiche o riforme. Un ruolo essenziale della Commissione –come si è visto nell’affrontare la pandemia – è quello di fornire le argomentazioni intellettuali per aiutare a individuare le linee che devono essere attraversate.

f) I progetti o gli approcci di politica economica possono talvolta essere perseguiti molto tempo dopo che la loro rilevanza politica è passata o la loro logica economica si è rivelata obsoleta. A questo proposito, «la difficoltà non è tanto sviluppare nuove idee quanto sfuggire a quelle vecchie», come ha osservato Keynes. Evitare una tale trappola è particolarmente importante oggi che il paradigma economico tradizionale è seriamente messo in discussione.

Queste conclusioni tendono a sottolineare – come da attendersi – il ruolo della Commissione. Ma può la Commissione, per quanto autorevole, fare da effettivo traino all’Unione europea se non c’è un’azione attiva di alcuni Stati membri?

Prendiamo un nodo immediato: la transizione ecologica e tecnologica parte essenziale del Next Generation Eu e dei vari Piani nazionali di ripresa e resilienza. Appare chiaro che richiederanno capitali enormi, i quali non potranno essere mobilitati se nell’unione monetaria non si sarà creato un mercato unico dei capitali e non si sarà completata l’ancora monca unione bancaria. Sono due campi in cui la Commissione può solamente formulare proposte (e lo ha, in effetti, fatto più volte) ma dove non si muove foglia se non si arriva ad un accordo tra gli Stati membri e non ci sono uno o più Stati membri che lo promuovono. Ancora più immediato è la costruzione di nuove regole di bilancio e per gli aiuti di Stato dopo la pandemia: anche qui è essenziale che ci sia una “pattuglia di Stati” che le promuova.

In questi campi, “un’intesa cordiale” tra Francia ed Italia può fare da motore, specialmente se include la Germania del “dopo Merkel”.

In materia economica ci sono le vicende economiche europee e mondiali che impongono spesso di trovale soluzioni europee.

Non così in campo di politica internazionale. Anche se l’Ue ha un Alto Rappresentante e una rete di uffici in tutto il mondo, in questo campo è un “gigante zoppo”. Lo è stato negli “anni Merkel” e penso lo resterà ancora.

Alcune lezioni per l'Europa dopo Angela Merkel

Riuscirà un’intesa tra Francia ed Italia, quale quella che si profila nel Trattato del Quirinale in fase di messa a punto, ad essere il perno del processo d’integrazione? Riusciranno le istituzioni europee (in primo luogo, la Commissione europea) a ritrovare il ruolo che avevano agli inizi del cammino verso “un’Unione sempre più stretta”? Riuscirà l’Unione europea a darsi quel ruolo internazionale a livello mondiale che oggi le manca? Qualche risposta nell’ultimo libro di Marco Buti, “The man inside. A european journey through two crises”, letto dal prof. Giuseppe Pennisi

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